Se fiscalmente la parola “risparmio” può generalmente essere collegata al minor onere tributario ottenuto utilizzando gli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento, in ambito economico e giuridico, va ad assumere più significati. Difatti, esso può diventare il presupposto necessario all’erogazione del credito da parte degli istituti preposti, ma anche un surplus monetario ottenuto dall’accantonamento volontario dei possessori, oppure destinato alla capitalizzazione, mediante l’acquisto di beni strumentali o all’investimento in capitali d’impresa.
In maniera meno tangibile, non mancano sicuramente i riferimenti al settore dell’energia dove, parlare di “risparmio” energetico, si riallaccia contemporaneamente alla sfera del pubblico e del privato. In entrambi i casi, “risparmiare” è percepito come un comportamento necessario e conveniente.
Allorché questa terminologia viene intesa come un ulteriore aiuto al pianeta, l’impressione individuale di agire per fini nobili, rende il presunto sacrificio, psicologicamente più sopportabile. Paradossalmente, mentre il sistema finanziario può scegliere di rimettere in circolo il “risparmio” anche sotto forma di investimento alle imprese destinate, per esempio, all’estrazione del coltan nei Paesi del terzo mondo, il cittadino virtuoso, economizzando sulle personali utenze domestiche, ha comunque l’illusione di apportare un apprezzabile beneficio generale alla vita dell’intera comunità. Certo è che, l’uso delle “terre rare” come il coltan, serve a produrre apparecchiature che consentono un notevole “risparmio” energetico, ma risulta altrettanto vero che per la loro estrazione, prevalentemente dalle miniere del Congo, ci si serve abitualmente di manodopera minorile. Nella palese ipocrisia di fondo in cui avviene tutto ciò, appare oltremodo evidente anche il forte conflitto etico e morale.
Approfondendo il significato del termine, va precisato che “risparmio” deriva da “risparmiare”, dal latino “parcĕre” e dal protogermanico “sparanjan”, da cui anche “sparagnare”, come variante presente in diversi dialetti della penisola.
In stretta relazione con la persona, il verbo riflessivo “risparmiarsi”, sta ad indicare l’attenzione alla salute personale ed alle proprie forze e capacità di resistenza; nonostante i sinonimi “denaro, gruzzolo, fondo e riserva”, facciano pensare prevalentemente al mondo economico.
Se dunque in campo economico-finanziario la voce richiama a quella parte di “entrate” che non viene spesa immediatamente, ma accantonata per il futuro, per contro, la rilevanza della parola in ambito sociale, si evidenzia con particolare impatto nella popolazione più anziana. Per i “nostri vecchi”, sovente l’attingere ai propri “risparmi” sembra rappresentare un’impellente necessità, spesso dovuta all’inadeguato importo delle pensioni, in buona parte insufficienti al mantenimento di uno stile di vita decoroso.
Nel nostro Paese emerge, altrettanto frequentemente, il caso in cui i “nonni” vengano chiamati ad integrare, con il loro aiuto materiale ed economico, il bilancio familiare di figli in difficoltà. Spesso questi ultimi non riescono a far fronte alle rette degli asili nido e probabilmente sarebbero costretti a rinunciare al lavoro, se proprio i più anziani non si rendessero disponibili ad occuparsi dei nipotini, dando così forma al vero “welfare” attualmente in essere. Successivamente, i nipoti ormai cresciuti, trovando piuttosto arduo l’ingresso nel mondo del lavoro, continuano a dipendere dagli aiuti economici degli stessi anziani, ancora costretti ad intaccare pesantemente i “risparmi” di un’esistenza di duro lavoro, per aiutare le loro famiglie.
Nel tempo, non mancano nemmeno le situazioni in cui, quello che resta del sudato “tesoretto”, divenga altrettanto necessario per soggiornare in case di riposo o per pagare l’assistenza a domicilio.
Negli attuali “venti di guerra”, dove la “pace” risulta essere un miraggio fuori moda, in questo momento, suggerire soluzioni per “smuovere i risparmi parcheggiati in banca”, parrebbe strettamente collegato all’impellente esigenza di apportare nuovi capitali all’industria bellica, anche a costo di intaccare forzatamente le personali scorte monetarie dei cittadini, frutto di sacrifici e rinunce.
Ma nell’ottica di agire per un presunto bene comune, resta inteso che, essendo costretti a smobilizzare i propri “risparmi”, ambire ad un miglioramento delle condizioni generali di vita, diverrebbe la scelta più ovvia di ogni singolo individuo.