La “foresta pietrificata” (cit,) del sistema bancario italiano è in forte subbuglio. Dopo anni di sostanziale immobilismo, il crollo del sistema delle banche popolari e regionali dovuto sia alle riforme legislative di settore che ad alcune crisi del recente passato, la stagione delle grandi pulizie di bilanci sui “non performing loans”, la stagione dei “tassi zero” e l’attuale “grande abbuffata” di utili realizzati grazie al rialzo dei tassi, in questo inizio d’anno si sono moltiplicati gli annunci di offerte di acquisto e/o scambio di partecipazioni che potrebbero, se realizzate, mutare completamente gli equilibri proprietari (e di mercato) di molte delle principali banche del Paese.
Il Banco Popolare (il cui maggiore azionista è la francese Credit Agricole) si è mosso su Anima sgr e Monte dei Paschi; il Monte dei Paschi – ancora partecipata dallo Stato – su Mediobanca (che detiene quote in Assicurazioni Generali, probabilmente vero obiettivo dei maggiori azionisti privati di MPS, essendo presenti in entrambi gli azionariati); Mediobanca su Banca Generali (offrendo in pagamento la partecipazione che detiene in Assicurazioni Generali, così di fatto togliendo interesse degli azionisti privati alla scalata da parte di MPS); Unicredit (la banca maggiormente internazionalizzata fra quelle italiane, assieme alla – per ora – “dormiente” banca Intesa) sul Banco Popolare (così di fatto condizionando la strategia del Banco su MPS e quindi Mediobanca e perciò Assicurazioni Generali). Senza dimenticare l’operazione proposta dalla Banca Popolare dell’Emilia-Romagna sulla Popolare di Sondrio e alcune altre minori non portate a termine (su Cassa Lombarda e su banca Profilo, stando ai rumors della stampa specializzata).
In tutto questo, il Governo – che è azionista di MPS – ha finora esercitato la “golden power”, ovvero fissando dei paletti vincolanti per l’esecuzione di operazioni di acquisizione legati ad “asset strategici” del Paese, solo sull’offerta di Unicredit sul Banco Popolare, essenzialmente richiedendo (in “leggero doppio potenziale” conflitto di interessi; uno sul ruolo di azionista di uno dei contendenti e l’altro sul ruolo di emittente del debito pubblico sottoscritto dalle banche) una tutela sul mantenimento della quota complessivamente investita attualmente in titoli di Stato italiani per i prossimi cinque anni.
Perché tutto questo è importante per tutti noi (professionisti, imprese, risparmiatori), al di là delle singole cronache e degli equilibri di potere fra gli azionisti contendenti? Perché da questo (potenziale) rimescolamento di proprietà e consolidamento in atto nel settore bancario discendono effetti di concorrenza, tutela del risparmio e capacità di credito per l’intero sistema-Paese.
Concorrenza, perché un eccesso di concentrazione, se fosse mal bilanciato (Authority sulla Concorrenza e Banca d’Italia avranno un non semplice compito nel regolare le eventuali dismissioni obbligatorie), comporta un acuirsi del fenomeno di “desertificazione” delle filiali “di prossimità” (soprattutto nel segmento retail) e di “esuberi” di personale bancario (entrambi, peraltro, fenomeni già in atto).
Tutela del risparmio, perché un eccesso di concentrazione, se fosse mal bilanciato (Banca d’Italia, soprattutto, e Consob saranno chiamate a vigilare in tal senso), comporta un duplice rischio; da un lato, una maggiore esposizione al rischio di possibili crisi di singoli soggetti bancari (come avvenuto in passato), soprattutto in eventuali scenari futuri di nuove crisi finanziarie globali, nonché, dall’altro, di tenuta della domanda di sottoscrizione di future emissioni di titoli di Stato (e questo è il motivo per cui si è mosso il Governo, seppur occorra dire che “vincolare” la destinazione di una quota di fondi al debito pubblico viola, a sua volta, il principio di corretta allocazione dei rischi a tutela stessa del risparmio dei clienti delle banche).
Capacità di credito, poiché come spesso è accaduto in passato e anche a seguito delle norme di vigilanza che impongono dei limiti alla concentrazione di affidamenti verso un medesimo soggetto debitore (sia in termini di quanta parte del debito viene finanziato che in relazione al patrimonio dell’istituto erogante) le imprese, che fossero oggi finanziate da banche che nel prossimo futuro si aggregheranno fra loro, si vedrebbero molto probabilmente ridurre il monte affidamenti, subendo così una contrazione di approvvigionamento delle fonti finanziarie. Ciò, peraltro, evidenzia come fin da ora questo tema sia importante da monitorare – per le imprese e, soprattutto, per i loro professionisti – per poter anticipare le scelte di accesso al credito e sostenere al meglio i progetti industriali in corso.
Insomma, le aggregazioni – se ben realizzate – hanno l’utilità di creare maggiore efficienza e maggior valore per gli azionisti; il mercato deve fare il proprio mestiere facendo prevalere quelle operazioni ritenute maggiormente valide; Authority e Governo devono vigilare (e possibilmente non “giocare” le partite); ma risparmiatori e imprese devono essere consapevoli che le ricadute di quanto oggi si sta parlando non sono da trascurare, e li mettono in condizione di dover valutare prontamente come tutelare al meglio i loro interessi finanziari. E, aggiungo sommessamente, un ruolo (consapevole) dell’informazione nell’affrontare questi temi e, di conseguenza, un ruolo (maggiore) dei professionisti, per supportare le scelte razionali più efficaci, è certamente necessario.