Riserve in sospensione d’imposta: perché pagare il 13 per cento se basta il 10 per cento?
di Luciano Sorgato
Nel dedalo delle disposizioni fiscali contenute nella bozza della manovra di bilancio 2026, la coesistenza degli articoli 14 e 16 mette in luce una singolare incongruenza nel trattamento delle riserve in sospensione d’imposta.
Da un lato, il nuovo affrancamento straordinario delle riserve in sospensione d’imposta consente – per i saldi attivi di rivalutazione, le riserve e i fondi presenti nei bilanci al 31 dicembre 2024 e ancora esistenti al 31 dicembre 2025 – di versare un’imposta sostitutiva pari al 10 per cento. Dall’altro, in caso di assegnazione di beni ai soci o trasformazione della società, le stesse riserve, se annullate, scontano un’imposta sostitutiva del 13 per cento. Due regimi che convivono senza alcun evidente coordinamento, e anzi si pongono in rapporto di concorrenza: il primo, legato a un’opzione libera e slegata da vincoli operativi; il secondo, applicato d’ufficio in ragione della scelta contabile sottesa all’operazione straordinaria.
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