Rischi climatici e banche italiane: l'analisi della Banca d'Italia sulle disclosure ESG
di Diego Zonta
L'integrazione dei fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) nel settore finanziario è un tema di crescente urgenza, spinto da una maggiore consapevolezza dei rischi climatici e da un quadro normativo europeo in rapida evoluzione, delineato dal Piano d'azione della Commissione Europea per la finanza sostenibile. In questo contesto, le "Note di stabilità finanziaria e vigilanza n. 45" offrono un'analisi aggiornata delle informative ESG pubblicate dalle banche italiane ed europee, fornendo preziose indicazioni sullo stato dell'arte. L'analisi si basa sui dati pubblicati nel 2024 (con riferimento al 31 dicembre 2023) da un campione significativo: 12 grandi banche italiane, 11 omologhe europee (per le informative di Terzo Pilastro) e 29 banche italiane in totale (considerando le Dichiarazioni Non Finanziarie - DNF).
Rischio di transizione: luci e ombre
Il rischio di transizione, legato al passaggio verso un'economia a basse emissioni, è stato analizzato sotto due profili principali: i prestiti garantiti da immobili e il portafoglio crediti complessivo (banking-book).
Per quanto riguarda i prestiti immobiliari, emerge una diffusa difficoltà nel reperire dati sull'efficienza energetica degli immobili posti a garanzia. Sebbene le banche italiane mostrino un miglioramento rispetto all'anno precedente – riducendo la quota di immobili senza dati sui consumi energetici dal 25 per cento al 16 per cento, allineandosi alla media europea – persistono ostacoli nell'accesso a database pubblici (come SIAPE, ARERA, ENEA), spesso per motivi legati alla privacy. Le banche italiane, inoltre, utilizzano meno frequentemente gli Attestati di Prestazione Energetica (APE) rispetto alle controparti europee (24,4 per cento vs. 36,4 per cento in aggregato) e ricorrono maggiormente a stime (59,9 per cento vs. 47,8 per cento), soprattutto nel settore residenziale. Questo "data gap" limita la capacità di valutare appieno il rischio legato a immobili meno efficienti.
Analizzando il banking-book, si conferma l'elevata esposizione delle banche, specialmente quelle italiane (83,6 per cento contro il 62,7 per cento delle europee), verso imprese operanti in settori ad alta intensità carbonica ("highly contributing to climate change"). Questi settori, cruciali per la transizione, mostrano una maggiore incidenza di crediti deteriorati (NPL) o a rischio (Stage 2). Tuttavia, è evidente quanto sia difficile isolare l'impatto specifico del rischio climatico. Questi settori (manifattura, costruzioni, agricoltura, ecc.) sono stati particolarmente sensibili anche alle recenti turbolenze macroeconomiche (inflazione, tassi elevati), rendendo complesso attribuire il deterioramento del credito esclusivamente a fattori climatici o alla loro integrazione nei modelli di rischio (IFRS 9). Anche i livelli di copertura dei crediti non forniscono indicazioni univoche sull'effettiva considerazione del rischio climatico nelle rettifiche di valore.
Rischio fisico: esposizione significativa, impatti contabili ancora limitati
Il rischio fisico, derivante dagli impatti diretti di eventi climatici acuti (inondazioni, incendi) o cronici (innalzamento del livello del mare, siccità), riguarda una quota non trascurabile dei portafogli: 16,6 per cento per le banche italiane e 18,1 per cento per quelle europee. I settori più esposti in Italia sono agricoltura, costruzioni e manifattura. Analogamente al rischio di transizione, non emergono ancora evidenze chiare che questo rischio si traduca sistematicamente in una classificazione creditizia peggiore o in maggiori accantonamenti. L'impatto sulla qualità del credito e sui livelli di copertura risulta, al momento, marginale o non chiaramente attribuibile al solo fattore climatico.
Il Green Asset Ratio (GAR): un indicatore da perfezionare
L'analisi del 2024 introduce le prime evidenze sul Green Asset Ratio (GAR), un indicatore chiave della Tassonomia UE che misura la quota di attivi bancari che finanziano attività economiche ecosostenibili ("allineate" alla Tassonomia) rispetto al totale attivo (escluse alcune poste). I risultati iniziali sono modesti: il GAR medio è dell'1,68 per cento per le grandi banche italiane e del 2,61 per cento per quelle europee (ancora più basso, 0,84 per cento, per le banche italiane meno significative). Qui le “colpe” sono però in primis tecniche; il calcolo del GAR in primis esclude dal numeratore i finanziamenti a imprese non obbligate alla rendicontazione ESG (come la maggior parte delle PMI, che costituiscono oltre l'80 per cento del portafoglio crediti imprese in Italia).
Verso metriche più efficaci
La consapevolezza di questi limiti sta alimentando un dibattito a livello europeo sulla necessità di affinare le metriche. Non mancano proposte per possibili soluzioni:
estendere la tassonomia: includere più settori e attività economiche;
rivedere il GAR: si ipotizza un "GAR adjusted" con un denominatore più coerente con il numeratore;
utilizzare metriche complementari: il Banking Book Taxonomy Alignment Ratio (BTAR), già previsto su base volontaria, potrebbe offrire una visione più completa includendo stime sull'allineamento dei finanziamenti anche alle PMI, basate su proxy o informazioni raccolte direttamente.
L'analisi della Banca d'Italia evidenzia quindi un percorso in atto, con le banche italiane che migliorano gradualmente la capacità di misurare i rischi climatici, pur affrontando significative sfide legate alla disponibilità e qualità dei dati. Va capito come i recenti passi indietro rispetto alla diffusione della rendicontazione ESG possano impattare su questo percorso.
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Foto di kp yamu Jayanath da Pixabay