Ripensare l’Iva da zero: siamo pronti per una riforma coraggiosa?
di Cesare Tomassetti
L’Imposta sul Valore Aggiunto (Iva) rappresenta uno dei pilastri fondamentali del sistema fiscale europeo, contribuendo in maniera significativa alle entrate degli Stati membri. Introdotta nel secolo scorso, questa imposta è stata concepita come una tassa sul consumo, teoricamente destinata a gravare esclusivamente sul consumatore finale. Tuttavia, il meccanismo Iva risulta ben più articolato e oneroso, coinvolgendo ogni anello della catena commerciale, incluse le transazioni business-to-business (B2B).
Nel presente contributo ci si propone di analizzare criticamente l’attuale sistema Iva, mettendone in luce le inefficienze e le vulnerabilità, al fine di delineare una possibile riforma che riconduca l’imposta alla sua natura originaria di tassa sul consumo finale; l’ipotesi formulata è quella di un passaggio che potrebbe rivoluzionare il panorama fiscale europeo, alleggerendo il carico burocratico per le imprese e rafforzando l’efficacia dell’azione di controllo da parte delle amministrazioni finanziarie.
L’attuale architettura Iva: un sistema anacronistico?
L’Iva presenta una contraddizione intrinseca: pur essendo concepita come imposta sul consumo finale, si applica a tutte le transazioni commerciali, incluse quelle tra soggetti imprenditori. Questo meccanismo, che prevede il diritto alla detrazione dell’Iva sugli acquisti per le imprese, genera una complessità amministrativa che appare sempre più ingiustificata nel contesto economico contemporaneo.
È noto, anche ai non addetti, l’attuale funzionamento del meccanismo Iva:
1. il produttore vende al grossista a 10, applicando Iva per 2 che poi versa all’erario
2. il grossista paga l’Iva al produttore e registra un corrispondente credito di 2 verso l’erario
3. il grossista vende al dettagliante a 15, applicando Iva per 3, detrae Iva per 2 e versa Iva per 1 all’erario
4. il dettagliante paga l’Iva al grossista e registra un corrispondente credito di 3 verso l’erario
5. il dettagliante vende al consumatore finale a 20, applica Iva per 4, detrae Iva pagata al grossista per 3 e versa Iva per 1 all’erario.
6. il consumatore finale acquista dal dettagliante il bene a 24, di cui 20 relativi al costo del prodotto e 4 per Iva, di cui rimane inciso.
Non possono sfuggire alcune evidenze:
a. l’Iva complessivamente versata nei vari passaggi è pari a 4, corrispondente all’importo del tributo che incide sul prezzo di vendita al consumatore finale;
b. la corresponsione del tributo risulta frazionata in 3 versamenti, rispettivamente pari a 2, 1 e 1;
c. i soggetti interessati da adempimenti di fatturazione, registrazione, liquidazione, versamento e dichiarazione sono 3 (in questa ipotesi semplificata, molti di più nella realtà);
d. lo stesso risultato in termini di gettito potrebbe essere ottenuto con un sistema monofase che concentra il versamento del tributo di 4 sul solo dettagliante.
Gli adempimenti Iva: l’ulteriore fardello per l’economia
L’attuale sistema Iva impone a milioni di imprese europee una serie di adempimenti complessi e onerosi:
- fatturazione elettronica
- tenuta dei registri Iva
- liquidazioni periodiche
- dichiarazioni annuali
- gestione dei crediti e dei rimborsi
- versamento delle “frazioni” di tributo.
Queste attività comportano costi significativi per l’economia in termini di risorse umane, software gestionali e consulenze professionali. Studi recenti indicano che le imprese europee spendono in media 24 giorni all’anno per adempimenti burocratici (tra cui quelli Iva), con un costo stimato di circa 90 miliardi di euro, una cifra che rappresenta un freno non trascurabile alla competitività del sistema economico europeo.
Le vulnerabilità del sistema attuale: anatomia delle frodi carosello
Il sistema di detrazione dell’Iva, seppur concepito per garantire la neutralità dell’imposta per le imprese, ha generato nel tempo (più o meno) sofisticate forme di evasione fiscale. Le cosiddette "frodi carosello" rappresentano l’esempio più emblematico di come il meccanismo possa essere strumentalizzato a fini illeciti.
Queste frodi si basano su un principio semplice: una società (missing trader) acquista beni da un fornitore comunitario senza applicazione dell’Iva, li rivende applicando l’imposta, ma non la versa all’erario, dileguandosi rapidamente. L’acquirente (a volte ignaro) detrae regolarmente l’Iva, generando una perdita netta per il fisco.
Secondo le stime della Commissione Europea, le frodi Iva costano agli Stati membri circa 89 miliardi di euro all’anno, un ammontare che potrebbe essere drasticamente ridotto con una riforma strutturale del sistema.
Il reverse charge: un farmaco solamente sintomatico
Per contrastare le frodi, il legislatore europeo ha introdotto il meccanismo del reverse charge, disciplinato dalla Direttiva 2006/112/CE e implementato negli ordinamenti nazionali (in Italia, ad esempio, dagli articoli 17, commi 5 e 6, e 74 del Dpr 633/1972).
Il reverse charge inverte il soggetto debitore dell’imposta: nelle transazioni B2B in determinati settori (edilizia, elettronica, telecomunicazioni, ecc.), l’Iva è dovuta dall’acquirente anziché dal venditore. Questa soluzione, tuttavia, fornisce la prova che l’applicazione dell’imposta nelle transazioni B2B è fonte di problemi che richiedono l’adozione di misure correttive. Peccato che, ponendosi oggi il reverse charge come “eccezione rispetto alla norma”, introduca ulteriori complessità, creando un sistema duale che rende ancora più articolati gli adempimenti per le imprese.
Come noto in medicina, la cura del sintomo non sempre favorisce la guarigione del paziente.
L’annoso problema del credito Iva strutturale
In questo contesto di riflessione critica, non possiamo ignorare l’ulteriore, significativa problematica dei crediti Iva strutturali. Per quelle imprese che, per la natura stessa della loro attività – si pensi, ad esempio, alle aziende esportatrici, o a quelle che effettuano ingenti investimenti – si trovano fisiologicamente a maturare crediti Iva superiori al debito, il sistema attuale si trasforma in una fonte di complicazioni e, spesso, di tensione finanziaria. Queste imprese, pur operando in piena legalità e generando valore per l’economia, si ritrovano intrappolate in un circolo vizioso di adempimenti aggiuntivi, volti a “giustificare” la legittimità del proprio credito e a sollecitarne il rimborso.
Il meccanismo delle dichiarazioni d’intento, pur pensato per alleggerire l’onere Iva per gli esportatori abituali, ne è una lampante dimostrazione. Queste dichiarazioni, lungi dall’essere una semplificazione, rappresentano un’ulteriore complicazione burocratica, un fardello amministrativo che grava sulle spalle delle imprese virtuose, costrette a districarsi tra normative complesse e controlli spesso minuziosi. Non è forse evidente che il ricorso alle dichiarazioni d’intento, e ad altri meccanismi simili, costituisce una tacita ammissione che l’applicazione dell’Iva nel B2B è percepita, a livello normativo, come un fatto patologico, un’anomalia da correggere, piuttosto che come un elemento fisiologico e naturale del sistema? Se l’Iva fosse realmente pensata per gravare sulle transazioni B2B, perché mai dovremmo prevedere strumenti complessi e macchinosi per esentare, o quantomeno alleggerire, l’onere per alcune categorie di operatori?
Inoltre, l’attesa dei rimborsi Iva, per quanto diminuita negli ultimi anni, genera un’ingiustificata esposizione finanziaria per le imprese creditrici. Risorse finanziarie preziose, che potrebbero essere investite in sviluppo, innovazione o occupazione, restano immobilizzate in crediti verso l’erario, con un evidente impatto negativo sulla liquidità e sulla competitività aziendale. Questo aspetto è particolarmente critico per le PMI, che spesso non dispongono della solidità finanziaria delle grandi imprese e che, pertanto, risentono maggiormente della tempistica nei rimborsi Iva.
Una proposta copernicana: il retailer come unico debitore d’imposta
La riforma su cui riflettere è radicale, ma concettualmente semplice: esonerare completamente dagli adempimenti Iva tutte le transazioni B2B, applicando l’imposta esclusivamente alle cessioni di beni e prestazioni di servizi nei confronti dei consumatori finali.
In questo scenario:
1. le transazioni tra soggetti passivi avverrebbero senza applicazione dell’Iva
2. solo i soggetti che effettuano vendite ai consumatori finali sarebbero tenuti ad applicare l’imposta
3. i controlli fiscali sulla corretta applicazione ed effettivo versamento si concentrerebbero su un numero significativamente più basso di soggetti, nella fase finale della catena distributiva.
Semplificazione amministrativa
La proposta comporta una drastica riduzione degli adempimenti per la maggior parte delle imprese europee. In Italia operano 5 milioni di imprese che generano 3.600 miliardi di euro di fatturato: 950 miliardi verso il consumatore finale, 2.200 miliardi di euro è invece il transato generato negli scambi tra le imprese italiane e 500 miliardi tra quelle italiane ed estere. Il 75 per cento, dunque, del totale del volume d’affari delle imprese italiane è generato nel mercato B2B (2.700 miliardi di euro). Questi scambi tra imprese potrebbero essere completamente esonerati dagli adempimenti Iva, con un significativo risparmio di risorse.
La semplificazione amministrativa genererebbe un duplice beneficio:
- riduzione dei costi di compliance per le imprese
- liberazione di risorse da destinare ad attività produttive.
Rafforzamento dell’efficacia dei controlli e riduzione delle frodi Iva
Con l’attuale sistema, le amministrazioni finanziarie devono monitorare milioni di soggetti passivi, disperdendo inevitabilmente le proprie risorse. La riforma consentirebbe di concentrare l’attività di controllo su un numero significativamente inferiore di operatori economici, che effettuano vendite ai consumatori finali.
Secondo alcune stime, il numero di soggetti da controllare si ridurrebbe di circa il 60 per cento, consentendo un incremento proporzionale dell’efficacia dei controlli.
La riforma eliminerebbe alla radice la possibilità di realizzare frodi carosello e altre forme di evasione basate sul meccanismo di detrazione dell’Iva. La mancata applicazione dell’imposta nelle transazioni B2B renderebbe impossibile la creazione di crediti fittizi.
Il risparmio per gli Stati membri sarebbe considerevole, liberando risorse che potrebbero essere destinate alla riduzione della pressione fiscale o al finanziamento di politiche di sviluppo.
Perché i tempi sono maturi? La concentrazione della distribuzione al dettaglio e la tracciabilità dei pagamenti
Il sistema economico contemporaneo è profondamente diverso da quello in cui l’Iva è stata concepita. Negli ultimi decenni, si è assistito a una crescente concentrazione della distribuzione al dettaglio, con l’affermarsi della grande distribuzione organizzata e dell’e-commerce. La maggiore concentrazione delle vendite al dettaglio su un numero inferiore di operatori facilita notevolmente l’attività di controllo in un sistema riformato.
Un altro fenomeno socio-economico riguarda la diffusione dei mezzi di pagamento elettronici. Secondo la Banca Centrale Europea, nei Paesi dell’Unione, quasi il 50 per cento delle transazioni retail avviene ormai tramite strumenti tracciabili (carte di credito, bonifici, sistemi di pagamento digitali), rendendo sempre più difficile l’occultamento dei corrispettivi.
Questa evoluzione tecnologica rappresenta un argomento ulteriore a sostegno della tesi che i controlli possano essere efficacemente concentrati sulla fase finale della catena commerciale.
Qualche riflessione su criticità e possibili rimedi. Impatto sui flussi di cassa degli Stati
Una delle principali criticità della riforma riguarda l’identificazione della natura delle transazioni. Come distinguere, in modo certo e verificabile, una cessione B2B da una cessione B2C?
La soluzione potrebbe risiedere nell’implementazione di un sistema di certificazione europeo per i soggetti passivi, basato sul numero di partita Iva e integrato con strumenti di verifica in tempo reale. Le tecnologie blockchain potrebbero offrire un supporto significativo in questo ambito, garantendo l’immutabilità e la tracciabilità delle informazioni.
Un’altra criticità riguarda l’impatto sui flussi di cassa degli Stati membri. L’attuale sistema, pur con le sue inefficienze, garantisce un flusso costante di entrate grazie ai versamenti periodici effettuati da tutti i soggetti della catena del valore.
La riforma potrebbe comportare una concentrazione temporale degli incassi, con potenziali difficoltà di gestione della liquidità per gli erari nazionali. Questo problema potrebbe essere mitigato attraverso l’implementazione graduale della riforma e l’adozione di sistemi di versamento più frequenti per i grandi retailer.
Va ricordato, infine, che la riforma di un’imposta di tipo comunitario richiede un processo decisionale complesso, che coinvolge tutti gli Stati membri. Tuttavia, i benefici potenziali in termini di competitività del sistema economico europeo potrebbero incentivare un accordo politico, soprattutto in un contesto in cui la semplificazione amministrativa rappresenta una priorità condivisa.
Considerazioni conclusive
L’attuale sistema Iva, concepito oltre cinquant’anni fa in un contesto economico profondamente diverso da quello contemporaneo, mostra evidenti segni di inadeguatezza. Le inefficienze burocratiche, le vulnerabilità alle frodi e la dispersione dell’attività di controllo rappresentano costi nascosti che gravano sull’economia europea.
La riflessione proposta, radicale nella sua semplicità, riporterebbe l’Iva alla natura originaria di imposta sul consumo finale, eliminando i presupposti di molte delle attuali problematiche.
I vantaggi in termini di semplificazione amministrativa, efficacia dei controlli e contrasto all’evasione compenserebbero ampiamente le criticità implementative.
Riteniamo che siano maturi i tempi affinché i policy maker europei avviino una riflessione profonda sul futuro dell’Iva, considerando seriamente l’opportunità di una riforma strutturale che potrebbe rappresentare un volano per la competitività dell’economia continentale, in una fase storica in cui molti fattori sembrano metterne in discussione la solidità.