La riforma dell’IVA procede (molto) lentamente. E comunque, non nel senso sperato e nemmeno nella forma attesa. Dei tanti interventi annunciati dalla legge delega del 2023, infatti, paiono aver trovato sin qui spazio essenzialmente quelle norme che, in un modo o nell’altro, complicano la vita degli operatori o che comunque non la migliorano. Inoltre, si tratta di disposizioni in ordine sparso, collocate in una pluralità di testi legislativi. In attesa dei più corposi interventi, fra cui quelli in materia di riallineamento dei presupposti impositivi alle regole della disciplina europea, revisione delle esenzioni e delle opzioni per l’imponibilità, detrazione (pro-rata e settore immobiliare, in special modo) e razionalizzazione delle aliquote, è bene fare un breve recap di quel (poco) che è stato fatto.
La cosa più facile è stata confermare l’irrilevanza IVA del concordato preventivo biennale (CPB) di cui al Dlgs n. 13/2024, già preannunciata dalla legge delega. L’art. 18 del decreto afferma infatti perentoriamente (e non avrebbe potuto essere altrimenti, stante la natura unionale del tributo) che l’adesione al concordato “non produce effetti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, la cui applicazione avviene secondo le regole ordinarie”.
Il medesimo decreto legislativo (che, oltre a quelle sul CPB, contiene anche disposizioni in materia di accertamento tributario) ha introdotto (articolo 4) nuovi obblighi di garanzia per chi si serve in Italia del rappresentante fiscale ai fini IVA. In aggiunta ai doverosi requisiti di onorabilità – che non costano nulla – è previsto il rilascio di garanzie che sono invece onerose e che non saranno facili da ottenere (l’esperienza insegna). Ve n’è una che riguarda tutti e che comporta “cauzioni” crescenti in base al numero di rappresentati (nessuna garanzia è dovuta, se si rappresenta un solo operatore). Un’altra garanzia vale invece soltanto per i soggetti extraUE che non risiedono in uno degli Stati dello Spazio Economico Europeo e che intendono operare in ambito comunitario, iscrivendosi all’archivio VIES. Di tale banca dati si è peraltro evitato di aggiornare la disciplina, se non per introdurre a carico del rappresentante obblighi di verifica della completezza del corredo documentale e informativo prodotto dal contribuente e della relativa corrispondenza alle notizie in suo possesso, il cui mancato rispetto sarà pesantemente sanzionato (da 3 mila a 50 mila euro). Il tutto, beninteso, è corredato dagli immancabili decreti ministeriali (già emanati a dicembre 2024) che saranno seguiti da altri provvedimenti direttoriali, i quali faranno scattare gli obblighi anche per i rappresentanti fiscali già operativi.
Siccome di garanzie non ce n’è mai abbastanza, ecco che il Dlgs n. 141/2024 (contenente le disposizioni nazionali complementari del codice doganale UE), al fine di prevenire, controllare e reprimere gli abusi collegati all’utilizzo del cosiddetto “regime 42” per le importazioni senza pagamento dell’imposta, ha disposto, in attuazione della delega, la possibilità che gli uffici chiedano la costituzione di una cauzione, pari all’importo dell’IVA sospesa, in relazione ai beni destinati a proseguire verso altro Stato comunitario. Restano i dubbi sulle regole per l’“incameramento” della cauzione e la certezza che si sia persa l’occasione per rendere la norma dell’articolo 67, Dpr n. 633/1972 maggiormente conforme alla corrispondente disciplina UE (articolo 143, direttiva n. 2006/112), la quale non implica necessariamente la cessione dei beni importati in sospensione, ammettendo che essi possano essere trasferiti in altro Stato membro anche per esigenze dell’impresa.
Va meglio (ma non del tutto) sul fronte dell’ampliamento, auspicato dalla delega, della possibilità di emettere la nota di variazione IVA in presenza di tutti gli istituti previsti dal codice della crisi d’impresa. Con un intervento sull’art. 25-bis del codice, è stata infatti ammessa la variazione in diminuzione anche per la composizione negoziata della crisi (contratti per la continuità aziendale, convenzioni di moratoria, accordi fra creditori e debitore) al fine di recuperare l’IVA sui crediti impagati. Resta tuttavia il dubbio se, essendo richiamato dalla norma solo il comma 3-bis dell’articolo 26 del decreto IVA e non il successivo comma 5, alla nota d’accredito non debba far seguito la rilevazione di un pari debito d’imposta in capo al soggetto in crisi, con possibili difficoltà a dar corso alla composizione. Si spera si tratti di una svista, visto che la legge delega richiama espressamente i commi 3, 5, 5-bis e 10-bis dell’articolo 26.
Per chiudere questa breve rassegna, due parole su una (fra le molte) norme sanzionatorie che interessano l’IVA e che sono contenute nel decreto delegato (n. 87/2024) sul sistema punitivo tributario e penal-tributario. Il riferimento è al comma 6 dell’articolo 6, Dlgs n. 471/1997. Chiusa la stagione della “leggerezza” in punto di detrazione dell’IVA non dovuta, la nuova versione della norma prevede che si può detrarre solo l’IVA effettivamente applicabile, esito cui era comunque giunta la giurisprudenza comunitaria e nazionale. Si è nondimeno persa l’opportunità di metter mano alle regole sul rimborso dell’imposta indebitamente applicata, sebbene sia evidente che nessuno o quasi si azzarda a utilizzare l’articolo 30-ter, Dpr n. 633/1972, se non previo interpello alle Entrate.