Responsabilità 231 e sostenibilità: il volto giuridico della cura ambientale nell’era delle direttive europee
di Giuseppe Mogliani
La responsabilità collettiva: dal crimine ambientale alla colpa organizzativa
Che cosa significa oggi parlare di responsabilità giuridica delle imprese in materia ambientale? È sufficiente concepirla come un’estensione della colpa individuale, o si tratta piuttosto di una metamorfosi del diritto penale, che assume le fattezze di un diritto “corale”, capace di giudicare l’agire collettivo? La recente normativa italiana, con il D.L 116/2025 e le modifiche all’articolo 25-undecies del D.Lgs. 231/2001, sembra inaugurare una nuova stagione: l’impresa diviene soggetto eticamente e giuridicamente imputabile, chiamata a rispondere non solo delle condotte materiali dei propri rappresentanti, ma anche delle omissioni e delle inerzie che ne costituiscono la trama invisibile.
In questa prospettiva, la responsabilità non è più soltanto reattiva ma proattiva: essa si esercita prima ancora del danno, nell’organizzazione dei modelli, nella predisposizione delle difese contro la tentazione del profitto immediato e distruttivo. Il diritto penale dell’impresa si trasforma in “diritto della prevenzione”, ove il silenzio o la distrazione valgono quanto l’azione criminosa.
L’Europa e la grammatica della sostenibilità
Parallelamente, sul piano europeo, la spinta verso la sostenibilità ha trovato la sua codificazione nelle direttive e negli standard elaborati dall’EFRAG: gli ESRS (European Sustainability Reporting Standards) e, in prospettiva, i VSME (Voluntary Standards for SMEs). Qui non è in gioco soltanto la trasparenza contabile o l’obbligo di rendicontazione: si tratta di un mutamento paradigmatico, che tocca il cuore stesso della ragion d’essere dell’impresa.
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