Residenza fiscale delle persone fisiche: la mancata iscrizione all’AIRE non è (e non era) decisiva
di Andrea Gaeta e Maurizio Nadalutti
In un contesto economico sempre più improntato alla globalizzazione, anche il mercato del lavoro risulta caratterizzato da un crescente esodo di figure professionali.
Sicché, molti contribuenti italiani – per scelta di vita, opportunità di crescita professionale o perché “costretti”, non avendo valide alternative – si sono trasferiti o stanno per trasferirsi all’estero per esercitare la propria attività lavorativa.
In questo quadro, accade che il lavoratore italiano, nel momento in cui si trasferisce all’estero, spesso si dimentichi (o lo faccia con ritardo) – da quanto si riscontra – di cancellarsi dall’anagrafe della popolazione residente e di iscriversi all’AIRE.
Fino al 31/12/2023, il mantenimento dell’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente era considerato, dalla Cassazione, una condizione sufficiente per attrarre il contribuente al Fisco italiano.
Difatti, muovendo dalla considerazione che, ai sensi della previgente versione dell’articolo 2, comma 2, del Tuir, i requisiti dell’iscrizione all’anagrafe nazionale, del domicilio e della residenza erano tra loro alternativi, la Suprema Corte ha ribadito in più occasioni (si vedano, ad es., Cass. nn. 16634/2018 e 1355/2022) che il dato anagrafico era di per sé sufficiente, per presunzione assoluta, a radicare la residenza fiscale in Italia, e ciò quand’anche si configurasse un conflitto di residenza da risolvere su base convenzionale.
Si tratta di un’interpretazione formalistica, non condivisa in dottrina nonché da una parte della giurisprudenza di merito.
Ad ogni modo, ora, per effetto dell’intervento legislativo ad opera dell'articolo 1 del Dlgs 209/2023, che ha riformulato i criteri di residenza fiscale delle persone fisiche, è stato espressamente stabilito che l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente costituisce una presunzione soltanto relativa di residenza, con facoltà di prova contraria. A tale criterio di collegamento si aggiungono quello del domicilio, oggi da intendersi come il luogo nel quale si sviluppano le relazioni personali e familiari del contribuente e quello, nuovo, della presenza fisica sul territorio nazionale, da valutarsi anche in base alle «frazioni di giorno».
Pertanto, dall’1/1/2024 (giacché, come precisa la sentenza della Cassazione n. 19843/2024, la modifica opera solo pro futuro), per identificare la residenza fiscale della persona fisica il dato formale può essere superato se il contribuente dimostra, «sulla base di elementi oggettivamente riscontrabili» (così la circolare n. 20/E/2024), che sussiste una diversa situazione di fatto.
A ben vedere, però, nemmeno per il passato, ossia prima dell’1/1/2024, in taluni casi l’iscrizione all’AIRE era determinante ai fini di individuare la residenza della persona fisica, potendo quest’ultima ritenersi “non residente” anche in assenza del citato adempimento formale.
Infatti, ancorché il contribuente non si fosse cancellato dall’anagrafe della popolazione residente, risultando pertanto, secondo la normativa ratione temporis vigente, fiscalmente residente in Italia, poteva capitare che lo stesso, al contempo, risultasse residente in un altro Stato, configurandosi così un’ipotesi di doppia residenza.
Per identificare la residenza fiscale in tali circostanze – come confermato dall’Agenzia delle Entrate (risposte a interpello n. 25/2018, n. 203/2019 e n. 370/2023) – occorreva e occorre tuttora fare riferimento alle prescrizioni contenute nelle "Convenzioni contro le doppie imposizioni" stipulate dall’Italia con i diversi Paesi esteri.
In particolare, il modello OCSE – preso come base della maggior parte delle Convenzioni contro le doppie imposizioni internazionali – per dirimere il conflitto di residenza che può originarsi individua dei criteri – definiti "tie-breaker rules" – da applicare in ordine gerarchico:
1. abitazione permanente;
2. centro degli interessi vitali;
3. luogo di soggiorno abituale;
4. nazionalità;
5. accordo fra gli Stati (criterio residuale).
In buona sostanza, nei casi di doppia residenza, per determinare la residenza fiscale effettiva occorre in prima battuta verificare in che Stato il contribuente ha a disposizione un’abitazione permanente adeguata ai bisogni abitativi personali e familiari. Qualora lo stesso contribuente abbia in entrambi gli Stati un’abitazione permanente, dovrà essere preso in esame il secondo criterio, ovvero si dovrà indagare dove è radicato il centro degli interessi vitali e così via.
In questo contesto, va rammentato che le Convenzioni contro le doppie imposizioni configurano, in conformità con gli obblighi internazionali sanciti dall'articolo 117, primo comma, della Costituzione, fonti vincolanti per gli Stati contraenti, aventi efficacia di legge primaria e prevalgono sulle fonti interne in quanto norme speciali, come avvalorato anche dalla giurisprudenza di vertice (Cass. 14240/2021, Cass. 23984/2016, Cass. 14474/2016, Cass. 2912/2015 e Cass. n. 1138/2009).
Così, proprio in tema di residenza delle persone fisiche, la Suprema Corte (Cass. n. 29463/2024) ha finalmente riconosciuto che le tie-breaker rules convenzionali devono prevalere sul dato anagrafico. In tal modo, ha riconosciuto la possibilità, per un titolare di pensione, di provare la residenza nel Regno Unito a dispetto del dato formale dell’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, con conseguente possibilità di ottenere il rimborso delle ritenute indebitamente subite in Italia (ai sensi dell’art. 18 della Convenzione, la pensione – non per funzioni pubbliche – è tassata nel solo Stato di residenza). La riconosciuta prevalenza delle Convenzioni, come interpretate dal Commentario, sulla legge interna, ha portato inoltre la Cassazione (si veda Cass. n. 24205/2024) a “disapplicare”, l’ottavo comma dell’articolo 165 del Tuir, che condiziona la fruizione del credito d’imposta per le imposte versate all’estero alla dichiarazione in Italia del reddito assoggettato a doppia imposizione.
Alle stesse conclusioni, sul rapporto tra residenza “formale” e norme convenzionali, è giunta anche l’Agenzia delle entrate nella citata circolare n. 20/E/2024, al cui § 3 viene ammessa che la presunzione assoluta di cui al previgente articolo 2, comma 2, del Tuir deve “cedere il passo” alle tie-breaker rules, le quali «possono essere utilizzate anche per dirimere i conflitti di residenza derivanti dall’applicazione della presunzione legale relativa concernente i soggetti iscritti nell’anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta».
Alla luce di quanto sopra, il contribuente al quale viene contestata la mancata dichiarazione di redditi in Italia (anche) ante 2024, solamente sulla base del presupposto della mancata iscrizione all’AIRE, potrebbe dunque risolvere il conflitto di residenza dimostrando (e volendo, ancor prima, in sede di interpello, come auspica la circolare Assonime n. 25/2024, al § 6) la sua effettiva residenza all’estero secondo le previsioni fissate dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni di riferimento.