Ravvedimento a scoppio ritardato: il ritorno condizionato della sanatoria per il CPB 2025-2026
di Simona Baseggio e Barbara Marini
Con l’emendamento approvato in commissione Finanze alla Camera al decreto fiscale 2025, prende forma una nuova edizione del cosiddetto ravvedimento speciale (in realtà, la norma lo definisce un “regime di ravvedimento”), destinata ai soggetti ISA che aderiranno al concordato preventivo biennale (CPB) per il 2025-2026. Una norma di chiara portata strategica, che riapre il cantiere della regolarizzazione delle annualità pregresse (dal 2019 al 2023), ma con una finestra operativa posticipata e condizionata, che merita un’attenta riflessione.
Il meccanismo ricalca in gran parte quello già noto: il contribuente potrà versare un’imposta sostitutiva calcolata sulla base della differenza tra il reddito dichiarato e un reddito "presuntivamente congruo", determinato con una percentuale variabile a seconda del punteggio ISA (dal 5 per cento al 50 per cento). Le aliquote variano, anch’esse, secondo logiche di "premialità": 10 per cento, 12 per cento o 15 per cento a seconda dell’affidabilità fiscale, mentre l’IRAP è assoggettata all’aliquota fissa del 3,9 per cento. Per gli anni pandemici (2020 e 2021) è prevista una riduzione del 30 per cento sull’imposta. L’accesso è riservato esclusivamente ai contribuenti che aderiranno al nuovo CPB e potrà riguardare anche una sola delle annualità oggetto della sanatoria.
Ma la vera novità è nella data spartiacque: il ravvedimento si perfeziona solo a partire dal 1° gennaio 2026 e fino al 15 marzo dello stesso anno, con la possibilità di rateizzazione in massimo dieci rate. A ciò si accompagna una condizione ostativa di rilevante portata: l’accesso alla sanatoria viene precluso in caso di notifica, anteriormente al pagamento della prima rata, di un processo verbale di constatazione (Pvc), di uno schema di atto di accertamento o di un atto di recupero di crediti d’imposta inesistenti (articolo 12-bis, comma 13 del decreto).
Da qui, si possono tentare alcune riflessioni sulla ratio del legislatore.
Una prima lettura suggerisce che il legislatore abbia voluto evitare che la nuova sanatoria potesse sterilizzare le attività di controllo in corso. È l’ipotesi che alcuni commentatori hanno avanzato: stabilendo che la notifica di uno schema d’atto blocca l’accesso al ravvedimento, il Fisco tutela l’efficacia dei procedimenti già avviati. Ma si potrebbe andare oltre: non è forse ipotizzabile che questa nuova architettura normativa induca, tacitamente, un certo "patto di non chiusura" tra contribuente e ufficio, laddove la definizione non sia formalizzata entro l’anno? Si potrebbe, cioè, immaginare che per le annualità ancora aperte gli uffici preferiscano "congelare" il controllo per non precludere al contribuente l’opportunità della sanatoria, il che, a ben vedere, rischia però di incrinare il principio di imparzialità dell’azione amministrativa.
Una seconda interpretazione, più aderente al dato normativo e all’esperienza concreta, ci conduce su un sentiero diverso. È vero che oggi, di fatto, al di fuori delle verifiche in loco, l’attività di controllo prende corpo proprio con la notifica dello schema d’atto. E proprio questa notifica diventa il punto di non ritorno: se è già avvenuta, il contribuente è fuori dalla sanatoria; se non è ancora stata notificata, potrà accedere, anche in presenza di controlli in corso. Nessuna zona grigia, dunque, ma un confine normativo netto e cristallino. In quest’ottica, più che un freno alla chiusura dei controlli, la norma potrebbe diventare uno stimolo all’autonoma regolarizzazione delle annualità ancora non toccate dall’amministrazione, soprattutto se potenzialmente coinvolgibili dalle stesse criticità che hanno generato il controllo. La leva è chiara: se vuoi "mettere in sicurezza" quelle annualità, fallo ora (da intendersi, dal 1° gennaio prossimo). In tale prospettiva, il contribuente potrebbe essere indotto a procedere a una sanatoria mirata, quale forma di tutela anticipata rispetto a contestazioni future.
Va infine osservato che, anche nella precedente edizione del ravvedimento speciale, l’efficacia dello strumento risultava attenuata per le annualità prossime alla decadenza. Con la nuova formulazione, però, l’introduzione di un termine iniziale per i versamenti, fissato al 1° gennaio 2026, determina un effetto di sostanziale inutilità della sanatoria rispetto all’anno d’imposta 2019, i cui termini ordinari di accertamento scadono al 31 dicembre 2025. Anche l’annualità 2020 merita un’analisi più sottile: in presenza di punteggio ISA pari o superiore a 8, opera il beneficio premiale di riduzione di un anno dei termini di accertamento, che sposta la scadenza al 31 dicembre 2025. Di nuovo, dunque, l’accesso al ravvedimento speciale potrebbe risultare del tutto inutile.
La nuova sanatoria, in definitiva, appare come un sofisticato strumento di bilanciamento tra esigenze del gettito, incentivo all’adempimento spontaneo e salvaguardia dell’efficacia dell’azione accertativa. Ma, come spesso accade, il confine tra stimolo e deterrenza dipenderà dall’applicazione concreta che ne faranno contribuenti e uffici. Con l’auspicio che a prevalere non siano le logiche negoziali, ma quelle della certezza del diritto.