Quando l’algoritmo sorveglia l’identità: l’articolo 2 del provvedimento ungherese anti-Pride alla prova dell’AI Act
di Marco Cramarossa
Con l’approvazione della legge del 18 marzo 2025, l’Ungheria ha stabilito, all’articolo 2, il divieto di qualsiasi manifestazione pubblica che promuova o mostri deviazioni dall’identità di genere o dal sesso di nascita, il cambiamento di genere o l’omosessualità, in particolare se potenzialmente visibile a minori. La norma è già stata applicata per vietare il Budapest Pride, poi regolarmente e pacificamente tenutosi grazie al Sindaco di Budapest, il progressista Gergely Karácsony, e ha acceso un dibattito che travalica i confini ungheresi, coinvolgendo direttamente i principi fondanti dell’Unione europea e le norme emergenti sul controllo algoritmico e sulla sorveglianza pubblica.
Il punto critico è tanto contenutistico, vale a dire la repressione della libertà di espressione e di riunione dei soggetti LGBTQ+, quanto strumentale: l’articolo 2 è pensato per poter essere attuato con strumenti di intelligenza artificiale, attraverso il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici e l’analisi preventiva dei contenuti delle manifestazioni. È qui che si apre un confronto interessante e inquietante con due recenti strumenti sul tema: il Regolamento europeo (UE) 2024/1689 sull’intelligenza artificiale (AI Act), da un lato, e il disegno di legge italiano del 2024 sull’AI, dall’altro.
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