Quando la tecnologia non basta: perché la blockchain non è la soluzione per molti settori
di Alberto Ferrari
Quando nel 2018, Maersk e IBM hanno lanciato TradeLens, una piattaforma blockchain destinata a rivoluzionare la logistica marittima globale, l’obiettivo era ambizioso: digitalizzare e semplificare i processi di spedizione, eliminando la burocrazia e garantendo ai partecipanti della supply chain un accesso in tempo reale ai dati delle spedizioni.
Maersk, uno dei colossi mondiali del trasporto marittimo con filiali in oltre 130 Paesi e proprietario di una delle flotte containerizzate più imponenti, vedeva in TradeLens la chiave per migliorare la trasparenza e l’efficienza, riducendo significativamente la documentazione cartacea.
Tuttavia, nonostante l’iniziale entusiasmo e l’adesione di diversi attori del settore, la piattaforma non è riuscita a ottenere una collaborazione su scala industriale sufficiente per garantirne la sostenibilità commerciale. Nel 2023, Maersk e IBM hanno annunciato la chiusura definitiva del progetto, segnando la fine di un esperimento ambizioso che ha incontrato ostacoli non solo tecnologici, ma soprattutto di adozione e standardizzazione.
Nel 2020, Nestlé annunciava l’adozione della piattaforma IBM Food Trust per migliorare la tracciabilità alimentare, applicandola inizialmente alla sua marca di caffè Zoégas. Nello stesso periodo, Barilla avviava un progetto analogo sulla filiera del suo pesto, sfruttando la tecnologia blockchain di Connecting Food. L'obiettivo dichiarato era quello di aumentare la trasparenza verso i consumatori, sfruttando anche l'effetto di fiducia che il termine blockchain evoca, spesso associato a parole come immutabilità e affidabilità del dato.
IBM Food Trust rappresenta ancora oggi un esempio di architettura distribuita (non più decentralizzata), ma non è più promossa attivamente dalla stessa IBM. A ben vedere, definirla blockchain è improprio: questa tecnologia è infatti lontana dall’idea originaria di trasparenza, libertà e partecipazione democratica incarnata dal primo Bitcoin o da Ethereum. Più che una vera blockchain decentralizzata, IBM Food Trust si avvicina al concetto di database distribuito, un'architettura in esecuzione su un numero limitato di server privati o cloud aziendali. Le applicazioni di tracciabilità sviluppate dalle aziende e utilizzate dai cittadini si interfacciano con questi sistemi in un contesto controllato e privo della decentralizzazione tipica delle blockchain pubbliche. Sono le cosiddette blockchain permissioned o blockchain private.
Gli esempi di TradeLens e IBM Food Trust evidenziano come le promesse di trasparenza e semplificazione associate a questa tecnologia non risolvano da sole le problematiche che stanno alla base dell’inefficienza di questi processi, che sono, quasi sempre, dovute a inefficienze procedurali. Non è l’adozione della blockchain a eliminare la necessità di produrre tanta documentazione, né l’adozione di qualche smart contract rappresenta una valida alternativa alla lettera di credito e agli escrow account. Solo l’implementazione di nuove procedure standardizzate, che potranno essere codificate anche in blockchain (ma non necessariamente in essa), potrà portare a un reale cambiamento.
Nel contesto della tracciabilità, poi, si confonde spesso il concetto di immutabilità del dato con la garanzia della sua veridicità. Blockchain non garantisce la correttezza del dato, ma solo la sua non modificabilità.
In altre parole, se il dato iniziale è errato, corrotto o volutamente falsificato, il registro blockchain non fa altro che conservarlo per sempre, senza alcuna possibilità di correzione. Questo è il vero limite della tecnologia applicata alla tracciabilità: il problema non è come memorizziamo i dati, ma chi li inserisce e come vengono verificati. La blockchain non offre alcun meccanismo per verificare automaticamente l’autenticità del dato. Serve comunque un sistema di controllo esterno che garantisca la qualità e la veridicità delle informazioni registrate, e quindi, inevitabilmente, un intermediario.
Negli ultimi anni, molti settori hanno cavalcato l’hype mediatico della blockchain, presentata come la soluzione definitiva per la tracciabilità, la logistica e persino l’IoT. Tuttavia, la realtà è ben diversa.
Le vere blockchain, come Bitcoin ed Ethereum, non sono progettate per memorizzare grandi quantità di dati come richiederebbe l’IoT, né per risolvere problemi procedurali come quelli della logistica. La loro struttura decentralizzata garantisce sicurezza e immutabilità, ma a un costo elevato in termini di scalabilità e velocità, rendendole poco adatte a questi scenari.
Nonostante ciò, la blockchain ha rappresentato uno stimolo tecnologico, portando alla nascita di soluzioni permissioned – sistemi distribuiti e controllati da pochi attori – che verranno sicuramente impiegati in ambiti dove serve creare fiducia e confidenza tra le parti coinvolte.
Ma, per favore, non chiamiamole blockchain.