Dove ci sono tante teste ci sono tante idee, punti di vista, esigenze e... (tanti) caratteri. Lo studio è una comunità di persone che non si sono scelte tra di loro e che sono (a volte, costrette) a lavorare insieme, spesso gomito a gomito. Se pensate che spesso non vanno d’accordo persone che si sono scelte (vedi marito e moglie), figuratevi chi si è trovato a dovere convivere e condividere con altri giornate intere di lavoro. Se poi ci mettiamo eventuali distanze generazionali, i carichi personali che ciascuno porta (inevitabilmente) con sé anche sul luogo di lavoro, le ambizioni, frustrazioni, invidie e manie personali…ecco che il mix può diventare esplosivo.
Il conflitto non dovete immaginare che si manifesti per forza con urla e litigi plateali. Spesso è invece avvolto dal silenzio, quel silenzio sinistro dove si sente l’aria pesante che si può tagliare con il coltello. Capita a volte di entrare in contesti di lavoro dove si percepisce di essere in una sorta di campo minato, così che basterebbe una mossa falsa a fare saltare tutto in aria. In questi casi, non ci si parla, quantomeno non in modo diretto, trasparente e tranquillo: ogni azione è un messaggio in codice per il collega o per l’ambiente: si comunica prevalentemente via e-mail, si mettono in copia conoscenza le persone per sgravarsi da ogni responsabilità, si fa cadere la penna all’orario prestabilito e…si va a prendere il caffè solo con chi fa parte del proprio gruppo. A volte ci sono muri reali tra una stanza e l’altra di lavoro, altre volte sono muri immaginari, ma di vera collaborazione, comunque, ce n’è poca. Ciascuno, in sostanza, fa il suo, e così via.
Diamo quindi il benvenuto nel mondo delle “guerre fredde professionali” – un fenomeno che, ve lo garantisce chi scrive – è più diffuso di quanto si pensi. Il paradosso più grande è che proprio i luoghi in cui c’è più cultura, come lo studio professionale, che dovrebbero eccellere in capacità comunicative, diventano spesso teatro delle dinamiche relazionali complesse e tossiche. Ma andiamo con ordine.
Le dinamiche tossiche che avvelenano lo studio
Negli studi professionali i conflitti hanno caratteristiche tutte loro. Come abbiamo detto, non aspettatevi litigi eclatanti con urla e porte sbattute (anche se può succedere, certo). Il vero problema sono i conflitti a bassa intensità, quelli che covano sotto la cenere e avvelenano lentamente l’ambiente di lavoro, creando correnti sotterranee che, alla lunga, fanno implodere anche gli studi più blasonati.
Tutto inizia con piccole incomprensioni, che nessuno affronta direttamente. Il collega che si tiene strette le informazioni come fossero pepite d’oro, quello che sorride in faccia, ma poi critica alle spalle, quelle antipatie caratteriali che invece di essere gestite vengono alimentate giorno dopo giorno. E se a questo aggiungiamo una verità scomoda – negli studi professionali manca clamorosamente una cultura della gestione del conflitto – il risultato è servito: un ambiente che diventa tossico e mina la produttività.
I segnali rivelatori che dovreste saper riconoscere
Come capire se il vostro studio sta vivendo una fase di conflitto tra colleghi? Ci sono sintomi precisi che, se sapete leggerli, vi accendono un campanello d’allarme:
La comunicazione si fa frammentata: le informazioni circolano a singhiozzo, trattenute come fossero preziose da alcuni e condivise solo selettivamente.
Le riunioni diventano teatrini vuoti: partecipazione passiva, contributi minimi e poi, immancabili, le critiche post-riunione nei corridoi.
Nascono i “clan”: gruppi chiusi che pranzano sempre insieme escludendo sistematicamente gli altri.
Il sarcasmo diventa l’arma preferita: battute al limite dell’offensivo che nascondono critiche mai espresse apertamente.
La produttività crolla: pratiche che rimbalzano tra colleghi come in un flipper, senza mai essere completate.
Compaiono le “assenze strategiche”: situazioni di potenziale confronto sistematicamente evitate.
Tanto tempo a commentare: si formano i gruppetti e la zizzania viaggia tra i corridoi.
Manca però un altro tassello al quadro. A questi sintomi si aggiunge di solito l’inerzia del o dei titolari. La ragione è che non hanno tempo, stanno poco con i loro collaboratori, sono sempre fuori studio, oppure preferiscono ignorare finché la bolla non esplode.
Quanto costa ignorare il problema?
Un conflitto non gestito non è solo una questione relazionale o di benessere: è un problema di business, punto. La ricerca in ambito organizzativo lo dimostra con numeri che dovrebbero far riflettere qualunque titolare di studio:
Tutto questo, come si può constatare, si riverbera velocemente anche sul business, sulle perfomance individuali e sulla produttività dello studio nel suo insieme, per non parlare del brand di studio che ne risente, in quanto i clienti spesso percepiscono tensione tra i colleghi e, ovviamente, si preoccupano per la buona gestione dei propri interessi. Insomma, non va bene per la qualità di vita, per il business e per il brand di studio.
Le cause più frequenti dei conflitti: riconoscerle per prevenirle
Nella esperienza di chi scrive vi sono alcuni fattori ricorrenti che scatenano i conflitti più dannosi:
La distribuzione delle pratiche e dei clienti: è forse il terreno di scontro più comune. La percezione (vera o presunta) che alcuni colleghi vengano favoriti nell’assegnazione dei clienti migliori, oppure l’iniquità dei carichi di lavoro, scatena malcontenti e dissidi. Negli studi il “portafoglio clienti” è percepito quasi come un “tesoro personale” da difendere.
La mancanza di riconoscimento: è un altro elemento esplosivo. I collaboratori che sentono sottovalutato il proprio contributo sviluppano, giorno dopo giorno, un rancore sordo verso colleghi che ritengono più visibili o apprezzati. Se poi si aggiungono percezione di favoritismi e assenza di meritocrazia…il danno è fatto.
Gli stili di lavoro incompatibili: creano attriti quotidiani. Il metodico e il creativo, il perfezionista e il pragmatico, l’analitico e l’intuitivo: stili diversi che, anziché essere complementari come dovrebbero, diventano fonte di scontro. Paradossalmente, proprio la diversità che potrebbe arricchire lo studio diventa motivo di divisione. Aggiungiamo anche le abitudini diverse e le culture generazionali diverse.
La comunicazione inefficace: è il minimo comune denominatore di quasi tutti i conflitti che ho gestito. Spesso alla base ci sono semplici malintesi o messaggi interpretati in modo distorto. In uno studio dove ciascuno è concentrato sul proprio carico di lavoro, il tempo per chiarirsi diventa un lusso che nessuno si concede, e così i fraintendimenti si sedimentano. Se poi aggiungiamo le difficoltà comunicative legate ai diversi caratteri…
L’assenza di regole condivise: trasforma le zone grigie in terreno di guerra. Quando mancano protocolli chiari su come gestire pratiche, clienti e responsabilità, ciascuno interpreta le situazioni a proprio modo, creando le premesse per conflitti quotidiani.
Come intervenire
Da anni si propone un approccio strutturato in tre fasi: è un percorso concreto che generalmente funziona se applicato con costanza.
Mappatura del conflitto: Prima di agire è fondamentale comprendere la natura del conflitto. È capitato di intervenire in studi dove il problema sembrava essere tra due collaboratori, quando in realtà il nodo era un conflitto non espresso tra i titolari! Bisogna capire se si tratta di un contrasto su questioni lavorative o di incompatibilità personali, se coinvolge due persone o fazioni più ampie, se esistono alleanze nascoste: questa fase di analisi è cruciale per “non sparare nel buio”.
Apertura del dialogo: I conflitti prosperano nel silenzio, si nutrono di “non detti”. Creare occasioni di confronto diretto, moderato, magari, da una figura autorevole, è essenziale. Non si tratta di organizzare “processi”, ma di facilitare uno scambio autentico dove ciascuno possa esprimere il proprio punto di vista in un contesto protetto. Organizzate una giornata intera di confronto moderato che permetta di sciogliere nodi che si trascinano da anni. A volte basta dare spazio alla parola per disinnescare la tensione.
Costruzione di un nuovo patto: Una volta emerse le criticità, occorre lavorare su nuove regole condivise. La rinascita di uno studio passa da qui: ridefinire i ruoli, introdurre protocolli operativi chiari, creare momenti strutturati di condivisione delle informazioni. Si riporta il caso di uno studio professionale che, dopo una fase di conflitto, ha istituito un pranzo mensile “obbligatorio” dove discutere apertamente i problemi emersi – una pratica semplice che ha trasformato radicalmente il clima interno.
Il ruolo cruciale del titolare dello studio
Se siete titolari di uno studio professionale, sappiate che il vostro ruolo nella gestione dei conflitti è determinante. Ignorare le tensioni sperando nella soluzione spontanea è la strategia peggiore in assoluto. La vostra leadership si misura anche dalla capacità di intervenire sui conflitti, non per reprimerli ma per trasformarli in opportunità di crescita.
I titolari di studio spesso assumono atteggiamenti tipici – e tutti parimenti inefficaci:
Il neutrale: che non vuole schierarsi e lascia che le cose “si aggiustino da sole”.
Il giudice: che decide chi ha ragione e chi ha torto, inasprendo ulteriormente la situazione.
Il pacificatore: che minimizza il problema con un “ma dai, non è niente”, senza affrontarlo davvero.
L’autoritario: che impone il silenzio con un “qui comando io e non voglio sentire discussioni”.
Nessuno di questi approcci risolve il conflitto alla radice. Piuttosto, il titolare dovrebbe agire come facilitatore che aiuta le parti a trovare un terreno comune, come coach che sostiene lo sviluppo di competenze relazionali nel team.
Da conflitto a opportunità: il salto di qualità
I conflitti, se gestiti correttamente, possono trasformarsi in preziose opportunità di crescita per lo studio. Un confronto aperto può portare a:
Maggiore chiarezza sui ruoli e le responsabilità di ciascuno.
Miglioramento dei processi operativi, spesso incrostati di abitudini inefficienti.
Rafforzamento della coesione del team, che esce “temprato” dalla prova.
Sviluppo di una cultura del feedback costruttivo, bene preziosissimo in ogni organizzazione.
Come diceva Peter Drucker – un guru del management – “i conflitti in un’organizzazione sono il segno che esistono verità diverse che attendono di essere integrate in una verità più ampia”.
Sta a noi trasformare queste verità diverse in una visione comune più forte e completa. D’altronde, si sa, le tempeste più dure forgiano marinai migliori.