La Corte Costituzionale ha depositato il 28 luglio 2025 la sentenza n. 137/2025 che affronta una questione centrale, riassumendo due aspetti controversi del nostro sistema tributario. Il primo tema è di ordine pratico: il Fisco non può chiedere al contribuente documenti che possiede già, o che è perfettamente in grado di acquisire dalle proprie banche dati.
Interpretiamo prima di tutto il Dpr 600/1973, articolo 32. È lì che il Fisco ha costruito per decenni la sua macchina di controllo. L’Agenzia può chiedere documenti. Il contribuente deve consegnarli. Fine della storia. O almeno, così è stato fino ad adesso.
Ma la Corte Costituzionale è arrivata a dire qualcosa che sembra banale solo quando la leggi. Il Fisco ha la banca dati delle fatture elettroniche. Lui stesso l’ha creata. Lui stesso la gestisce. Lui stesso vi accede ogni giorno con i suoi algoritmi e i suoi controlli. Se il Fisco possiede questi dati, allora il Fisco ne ha la disponibilità. Non può fingere il contrario. Non può chiedere al contribuente di consegnarglieli di nuovo.
Facciamo un esempio concreto. Voi emettete 40.000 fatture in un anno. Le trasmettete telematicamente all’Agenzia. Vengono archiviate nella banca dati centrale che l’Agenzia controlla completamente. Poi arriva il momento della verifica. L’Agenzia vi chiede: “Mi consegni la documentazione relativa alle fatture emesse”. Cosa significa? Significa che dovete prendere quelle 40.000 fatture, stamparle e consegnarle. Oppure, se siete “moderni”, creare un file PDF, sottoscrivere digitalmente, e consegnare comunque il tutto come se il Fisco non lo possedesse già.
La Corte Costituzionale pone il dito nella piaga. Se il Fisco possiede questi documenti, perché dovrebbe chiederli? Non è questione di collaborazione. La collaborazione è fornire informazioni utili, documentazione, che il Fisco non possiede. Ma quando il Fisco possiede già i dati, chiedere al contribuente di presentarli non è collaborazione. È una farsa.
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