C’è una scena che mi capita spesso di vedere negli studi: la scrivania sommersa da scadenze, adempimenti e richieste last minute. E in mezzo a tutto questo, una domanda scomoda rimbalza come un grillo nella testa: “Ma quando arriverà davvero, questa intelligenza artificiale che ci sostituirà?” E soprattutto: dovremmo fidarci o dovremmo temerla? Da una parte la paura – legittima – di essere messi da parte da un algoritmo più veloce, preciso e instancabile. Dall’altra, l’opportunità di trasformare quell’algoritmo in un alleato gentile, che ci libera tempo e risorse per tornare a fare ciò che un software non potrà mai replicare: costruire fiducia, dare senso, accompagnare le decisioni. Il rischio vero non è “essere sostituiti dalle macchine”, ma perdere il senso critico che ci rende diversi da loro.
Negli ultimi anni la tecnologia ha cambiato anche lo sport, se ci pensiamo. Gli sci carving hanno permesso a tanti principianti di disegnare curve perfette già alle prime discese. Il padel con le sue racchette ha aperto il campo da gioco anche a chi non era un tennista provetto. La tecnologia è così: non cancella la fatica, ma ha come obiettivo quello di “abilitare”, abbassare le barriere, rendere accessibile ciò che prima era riservato a pochi. Si, anche quella strana cosa chiamata consulenza, apparentemente. Potremmo immaginare la tecnologia anche come una bici da corsa ultraleggera e super-aerodinamica. Ti fa andare più veloce, certo, ma non pedala al posto tuo e non sceglie per te. Non ti dirà mai quando staccarti dal gruppo, quando risparmiare energie prima della salita o qual è il momento giusto per tirare la volata. E visto che nella vita – per quello che mi hanno insegnato – non esistono mai scorciatoie…se non ti alleni resterai una mezza calzetta.
Se si resta a guardare la sella interrogandoci sulla sua comodità, il gruppo sarà già in fuga. Se invece ci buttiamo in discesa senza testa, senza leggere le curve, finiremo fuori strada. La vera sfida non è la velocità, ma la lucidità. Perché i clienti non cercano solo rapidità: cercano qualcuno capace di distinguere il dato dall’illusione, la tappa da vincere oggi dalla strategia che fa vincere il Giro intero.
Fiducia: il vero capitale invisibile
Nella professione la parola chiave non è mai stata “contabilità” o “dichiarativo”, ma fiducia. Ogni volta che nasce un rapporto professionale, il consulente “compra” il cliente a scatola chiusa. E il cliente fa lo stesso, convinto di aver finalmente trovato il consulente giusto. È un patto reciproco, quasi un matrimonio, fondato più sulla speranza che sulla certezza. Ed è proprio questo il punto: il cliente non si affida al professionista perché sa riempire una dichiarazione, ma perché crede che sarà in grado di guidarlo nelle scelte difficili, proteggerlo dagli errori, anticipare i rischi. Come continuare a meritare questa fiducia in un’epoca che promette tutto e subito? Di sicuro non opponendosi alle macchine, ma dimostrando di saperle usare per rendere più solida – non più fragile – la relazione. Un software può segnalarti che hai sbagliato un F24. Ma solo un professionista può spiegare come evitare che quell’errore metta a rischio l’azienda, fare pianificazione o trasformare un dato contabile in una decisione strategica.
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