Polizze catastrofali: le FAQ chiariscono, ma i dubbi restano (e aumentano)
di Simona Baseggio e Barbara Marini
Con la pubblicazione delle prime FAQ da parte del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, arriva un atteso (e discusso) chiarimento sull’obbligo di copertura assicurativa per i beni aziendali contro eventi catastrofali. Ma se l’obiettivo era quello di offrire certezze applicative alle imprese, il risultato rischia di essere l’opposto: si formalizzano interpretazioni discutibili e si escludono – senza apparente ratio – fattispecie che avrebbero pieno titolo per rientrare nell’obbligo.
La prima FAQ affronta il nodo interpretativo che più ha fatto discutere: l’obbligo assicurativo si applica anche ai beni che l’impresa non possiede in proprietà, ma che utilizza sulla base di contratti di locazione?
Il Ministero risponde con chiarezza: sì, a meno che quei beni non siano già assistiti da una polizza analoga, anche se stipulata da soggetti terzi. Il riferimento alla voce B-II dell’attivo patrimoniale – recita la FAQ – serve solo a identificare i beni, non il titolo giuridico della detenzione. Il perimetro dell’obbligo, dunque, si allarga ben oltre la proprietà.
Una risposta che pone fine al dibattito interpretativo, ma che apre un problema sistemico ancora più ampio. Come già argomentato in un nostro precedente contributo, questa lettura mina la coerenza stessa del dispositivo normativo. L’articolo 2424 del codice civile disciplina le voci dell’attivo patrimoniale e presuppone, per definizione, l’iscrizione in bilancio di beni che costituiscono immobilizzazioni materiali dell’impresa. Includere beni detenuti in locazione, normalmente non iscritti nell’attivo, appare in evidente contraddizione con la logica contabile sottesa alla norma.
E c’è di più. L’estensione dell’obbligo a beni non posseduti solleva una rilevante anomalia economico-giuridica: se l’impresa assicurata non è proprietaria del bene, il beneficiario dell’indennizzo – salvo diversa pattuizione – sarà il titolare del diritto reale. Dunque, l’imprenditore si troverebbe a sostenere un onere assicurativo senza alcun ritorno diretto. In altri termini, una polizza imposta per coprire un rischio che non è proprio, e il cui beneficio patrimoniale ricadrebbe su un altro soggetto. È difficile immaginare una costruzione più lontana dal principio di inerenza economica che governa il diritto tributario e societario.
Un’altra risposta che suscita perplessità è quella fornita dalla FAQ n. 2, dove si afferma che i beni gravati da abusi edilizi non sono soggetti all’obbligo assicurativo. In prima battuta, la logica potrebbe apparire sensata: si tratta di beni potenzialmente non assicurabili, su cui le compagnie potrebbero legittimamente rifiutare la copertura. Ma è davvero giusto far discendere da una presunta difficoltà assicurativa una vera e propria esclusione normativa?
L’effetto è paradossale: imprese operanti in immobili non regolari sotto il profilo urbanistico – e quindi teoricamente più esposti a rischi strutturali – vengono escluse da un obbligo pensato proprio per coprire quei rischi. Non solo: la norma non distingue tra abusi gravi e abusi formali o sanabili, né considera l’effettiva vulnerabilità del bene. Una scelta netta e tranciante, che lascia fuori un intero universo edilizio, spesso diffuso in molte aree industriali e artigianali italiane, senza alcuna graduazione o ponderazione del rischio.
Ancora più sorprendente è il chiarimento offerto dalla FAQ n. 3, che esclude espressamente gli immobili in costruzione dal perimetro dell’obbligo assicurativo, perché iscritti, secondo la logica contabile, alla voce B-II.5) dell’attivo, e non ai numeri 1), 2) o 3). Ma qui la scelta ministeriale risulta palesemente incoerente con la ratio legis.
Se l’obiettivo della normativa è quello di garantire una maggiore resilienza del tessuto economico agli eventi calamitosi, non si comprende per quale motivo un capannone in via di costruzione – spesso finanziato con capitali di rischio o debito – non dovrebbe essere tutelato al pari di un edificio esistente. Anzi, il danno economico derivante dalla perdita di un’opera non ancora completata può essere ancora più pesante per l’impresa, che si troverebbe a subire una perdita secca senza alcuna copertura, proprio nella fase più vulnerabile del ciclo dell’investimento.
Se per gli immobili abusivi il problema della copertura assicurativa è comprensibile (e magari dovrebbe essere affrontato in termini di difficoltà contrattuale, non normativa), l’esclusione degli immobili in costruzione appare del tutto arbitraria e tecnicamente irrazionale. Una vera e propria frattura logica rispetto alle finalità dichiarate della riforma.
Chiarimenti? Sì. Ma a quale prezzo?
Il quadro che emerge da queste prime FAQ è quello di una norma che, nel tentativo di chiarirsi, finisce per irrigidirsi. Se la volontà del legislatore era quella di offrire tutele alle imprese, ciò andrebbe fatto con una disciplina chiara, coerente e aderente alla realtà economica dei soggetti coinvolti. Purtroppo, i chiarimenti ministeriali sembrano muoversi su un binario opposto: interpretazioni formalistiche che ignorano la sostanza, esclusioni generalizzate che non colgono le peculiarità dei casi concreti, e un’impostazione che rischia di tradursi in nuovi adempimenti senza corrispondente protezione.
Il tempo guadagnato con il recente rinvio dei termini non dovrebbe essere usato solo per stipulare le polizze, ma per ripensare il perimetro dell’obbligo con maggiore razionalità. Perché chiarire è utile, ma semplificare è un dovere.