Polizze catastrofali, il “titolo” che sta confondendo le aziende
di Simona Baseggio e Barbara Marini
La norma che impone l'obbligo di copertura assicurativa per i beni aziendali contro eventi catastrofali sta generando diversi dubbi applicativi. Un aspetto critico per le imprese è rappresentato dall'incertezza relativa a quali beni debbano essere effettivamente assicurati. Quando il legislatore scrive che l'obbligo riguarda le immobilizzazioni "a qualsiasi titolo impiegati per l'esercizio dell'attività di impresa", è davvero corretto ritenere che siano inclusi anche beni di cui l'impresa non è proprietaria?
Ma andiamo per ordine.
Con l'entrata in vigore della normativa introdotta dalla legge di bilancio 2023 (L. 30 dicembre 2023, n. 213) e del relativo decreto attuativo (D.M. 30 gennaio 2025, n.18), le imprese italiane si trovano a dovere fronteggiare l'obbligo di assicurare specifiche categorie di beni aziendali contro eventi catastrofali. L'obbligo, la cui scadenza per l'adempimento è fissata al 31 marzo 2025 (anche se da varie parti viene sollecitata una proroga), riguarda espressamente le immobilizzazioni individuate dall'articolo 2424, comma primo, sezione Attivo, voce B-II, numeri 1), 2) e 3) del Codice Civile (terreni e fabbricati, impianti e macchinari e attrezzature industriali e commerciali).
Come anticipato, la formulazione della norma ha sollevato un vivace dibattito interpretativo, in particolare sulla locuzione "a qualsiasi titolo impiegati per l'esercizio dell'attività d'impresa". Da un lato, alcuni sostengono che tale espressione vada interpretata come riferita al titolo giuridico con cui il bene è detenuto dall'impresa (proprietà, locazione, comodato), ritenendo che, non essendo esplicitamente citata la proprietà, la norma comprenda nell'obbligo assicurativo anche beni non posseduti a tale titolo. Dall'altro, un'interpretazione più letterale e sistematica, che si ritiene preferibile, considera invece implicito che la normativa faccia riferimento esclusivamente a beni di proprietà dell'impresa, coerentemente con la logica contabile di riferimento.
In primo luogo, l'esplicito riferimento alla sezione “Attivo” dello stato patrimoniale suggerisce che i beni coinvolti siano quelli di proprietà dell'impresa, ovvero quelli che vengono regolarmente contabilizzati nell'attivo patrimoniale. L'attivo dello stato patrimoniale accoglie infatti beni di proprietà.
In secondo luogo, dato il tenore testuale della norma, l'espressione "a qualsiasi titolo" non può che riferirsi al titolo di impiego del bene nell'attività aziendale e non invece al titolo giuridico di detenzione del bene. Tale ultima interpretazione sarebbe stata corretta nell’ipotesi in cui il legislatore avesse scritto “a qualsiasi titolo detenuti per l'esercizio dell'attività di impresa”. In altri termini, ciò che conta ai fini dell'obbligo assicurativo è il fatto che il bene, di proprietà, sia utilizzato per l'esercizio dell'attività d’impresa indipendentemente dalla specifica funzione aziendale attribuitagli.
Per giungere ad un’interpretazione coerente della norma, è fondamentale, inoltre, considerarne la ratio. Non c'è dubbio che il legislatore abbia voluto assicurare che una parte dei danni, in caso di eventi catastrofali, sia coperta dalle assicurazioni. Tuttavia, ha deciso di coprire il rischio di calamità afferente esclusivamente i beni, e soltanto i beni delle imprese, e non l’intera attività aziendale. Il ristoro previsto, infatti, riguarda esclusivamente il rimborso del valore dei singoli beni danneggiati o distrutti dall’evento calamitoso. Alla luce di questa premessa, estendere l'obbligo a chi, non essendo proprietario, non sopporta direttamente il rischio patrimoniale del bene, appare incoerente con la stessa ratio della norma. Chi sceglie di prendere in locazione un immobile per svolgere un'attività d'impresa, piuttosto che acquistarlo, ha già implicitamente scelto di non sopportare i rischi in caso di calamità.
Un’interpretazione estensiva della norma porterebbe, per contro, ad un paradosso operativo: molto spesso le compagnie assicurative prevedono che il beneficiario dell’indennizzo sia il proprietario del bene, indipendentemente dal fatto che questi sia anche il soggetto che ha stipulato la polizza. In questi casi, obbligare le imprese ad assicurare anche i beni non di proprietà, significherebbe imporre un onere che non porterebbe in nessun caso ad un beneficio diretto, una sorta di “tassa” priva di alcuna giustificazione economica. Questo ulteriore elemento dovrebbe far riflettere attentamente chi sostiene l'inclusione dei beni detenuti in locazione nell'ambito dell'obbligo assicurativo.
A conferma ulteriore dell'interpretazione fin qui sostenuta, giova fare un cenno a quanto riportato dalla relazione tecnica che accompagna la norma, documento che, stranamente, non risulta attualmente disponibile in modo ufficiale. Da alcune fonti trapelerebbe che nella relazione stessa sia stato necessario precisare esplicitamente che l'obbligo di copertura assicurativa comprende anche “l'affitto e l'usufrutto d'azienda, nei quali i beni appartengono a soggetti diversi dall'imprenditore”. Tale puntualizzazione, ove confermata, appare decisiva poiché evidenzierebbe indirettamente come, secondo lo stesso legislatore, l'obbligo assicurativo non riguarda i beni detenuti in semplice locazione.
Un focus particolare meritano infine i beni demaniali, caratterizzati da una situazione peculiare e ben diversa dalla semplice locazione o comodato. Pur non essendo certamente di proprietà dell'impresa che li utilizza, questi beni sono normalmente concessi all'imprenditore con un regime che lo rende sostanzialmente responsabile di tutti i rischi strutturali e patrimoniali. Apparirebbe dunque logico includere tali beni nell'ambito della normativa in esame, essendo, a tal fine, “l'imprenditore concessionario” assimilabile in tutto e per tutto all’“imprenditore proprietario”. Tuttavia, tale conclusione contrasta con la formulazione normativa che richiama espressamente le voci dello stato patrimoniale indicate ai numeri B-II 1), 2) e 3). I beni demaniali principali, infatti, non vengono iscritti nell'attivo del bilancio aziendale; mentre tutte le migliorie e gli interventi strutturali eseguiti su tali beni, se capitalizzati, sono contabilizzati tra i beni immateriali come "migliorie su beni di terzi", voce che non rientra nella previsione normativa. Si ritiene, in questo caso, anche alla luce degli enormi danni che vari eventi catastrofali hanno apportato negli ultimi anni alle nostre coste, che vi sia stata una “svista” e ci si auspica un’estensione esplicita da parte del legislatore a tali fattispecie.