Polizze catastrofali: dubbi e incongruenze ancora sul tavolo
di Simona Baseggio e Barbara Marini
All’indomani della pubblicazione da parte del Ministero delle Imprese e del Made in Italy delle prime FAQ sull’obbligo di copertura assicurativa contro i rischi catastrofali, su queste pagine sono stati già messi in luce i principali nodi critici, sottolineando le evidenti incongruenze tra le interpretazioni offerte e la ratio originaria della norma, nonché la distanza sempre più marcata tra i chiarimenti ministeriali e la reale operatività delle imprese coinvolte.
Il caso più emblematico riguarda senza dubbio – come si è riportato – l’estensione dell’obbligo assicurativo ai beni detenuti a titolo di locazione. L’approccio assunto dal Ministero – secondo cui anche questi beni, purché impiegati nell’attività d’impresa, rientrano nel perimetro assicurativo – rappresenta una torsione interpretativa tanto formalisticamente scolpita quanto economicamente distorsiva. La norma, se letta nella sua logica più autentica, dovrebbe individuare come oggetto dell’obbligo i beni sui quali l’impresa sopporta un rischio effettivo di danno o deperimento: beni che, se colpiti da un evento calamitoso, generano una perdita diretta a carico dell’imprenditore. Quindi, se si segue la ratio della norma si deve necessariamente dare più importanza alla titolarità del rischio patrimoniale per distinguere cosa sia bene assicurare.
È evidente, infatti, che nei casi di locazione il rischio resta in capo al proprietario, e l’impresa conduttrice non ha alcun obbligo di ricostruzione o risarcimento del valore del bene. Imputarle l’onere assicurativo in tale contesto significa piegare lo strumento assicurativo a una logica puramente impositiva, priva di reale giustificazione. Si genera così un effetto paradossale: il soggetto obbligato al pagamento del premio non è quello che beneficerebbe dell’indennizzo, il quale, salvo diversa pattuizione, andrebbe al titolare del diritto reale. È il rovesciamento completo del principio di inerenza economica, con il rischio di trasformare un presidio di tutela in un adempimento costoso e inefficace.
Non più rassicuranti risultano i chiarimenti successivi, che escludono dall’obbligo assicurativo sia i beni gravati da abusi edilizi sia gli immobili in costruzione. Entrambe le esclusioni, pur sorrette da considerazioni formali, appaiono disallineate rispetto all’obiettivo di fondo del legislatore. Se è vero che un bene abusivo può incontrare limiti assicurativi oggettivi, è altrettanto vero che l’esclusione indiscriminata – senza graduazioni tra abusi formali e sostanziali – finisce per sottrarre al sistema proprio quelle strutture spesso più vulnerabili. Analogamente, l’esclusione degli immobili in costruzione, giustificata solo sulla base della classificazione contabile alla voce B-II.5), lascia del tutto privo di copertura un patrimonio spesso frutto di investimenti recenti, potenzialmente più esposto e privo di ammortizzazioni. La norma mira a proteggere la capacità produttiva e patrimoniale delle imprese, eppure nega copertura proprio a quei beni che, per valore e ruolo strategico, meriterebbero maggiore tutela.
Un ulteriore nodo critico riguarda le polizze “già in essere”. L’intento di non gravare retroattivamente le imprese è comprensibile, ma la formulazione adottata lascia aperti troppi dubbi. Non è chiaro, ad esempio, se debba considerarsi “già in essere” qualunque polizza, anche non specificamente riferita agli eventi catastrofali previsti dalla norma. È un punto rilevante, perché molte coperture oggi attive non contemplano la totalità degli eventi richiesti – basti pensare al caso della frana, frequentemente esclusa. In caso di evento scoperto dalla vecchia polizza, chi sopporta il danno? Lo Stato interviene? Oppure l’impresa si troverà esclusa anche dai benefici pubblici collegati all’obbligo? Inoltre, se la polizza riguardasse altri rischi (es. incendio), è comunque considerata “già in essere” ai fini del rinvio? In tal caso, non solo si genera un’evidente disparità di trattamento, ma si rischia anche di vanificare l’efficacia preventiva della norma.
Ancora una volta, l’assenza di una definizione chiara rischia di generare diseguaglianze e ambiguità, riducendo l’efficacia del sistema nel suo complesso.
Non meno opaca è la distinzione tracciata tra imprese e studi professionali. La scelta di escludere questi ultimi dall’obbligo, per via della mancata iscrizione nel Registro delle imprese, può avere un fondamento formale. Ma se l’intento della norma è quello di salvaguardare i beni strumentali impiegati in attività produttive, perché una società di consulenza con decine di dipendenti non dovrebbe essere soggetta agli stessi obblighi di un’impresa manifatturiera, pur detenendo beni dello stesso tipo e valore? Anche in questo caso, la coerenza sistemica lascia spazio al dubbio.
Le difficoltà aumentano quando si entra nel merito delle situazioni miste, come il caso dell’abitazione adibita promiscuamente anche all’attività d’impresa. L’obbligo assicurativo, ci dice il Ministero, riguarda solo la porzione dell’immobile destinata all’attività. Ma come si determina con esattezza tale porzione? E come si riflette ciò nel contratto assicurativo? Una risposta questa che desta parecchie perplessità soprattutto per i risvolti applicativi che ne derivano.
In questo contesto, le uniche FAQ davvero prive di problematicità sono quelle che si limitano a ribadire quanto già emerge chiaramente dal testo normativo. E viene da chiedersi se davvero ci fosse bisogno di precisarle sotto forma di “domande frequenti”.
In definitiva, il tentativo del Ministero di portare chiarezza con queste prime FAQ ha finito per produrre l’effetto opposto. Le risposte fornite non risolvono le criticità applicative della norma, ma ne amplificano la portata, disorientando le imprese e lasciando aperti numerosi interrogativi. Se davvero si intende costruire un sistema efficiente e coerente di protezione contro i danni da calamità, occorre una norma fondata su principi economici solidi, una definizione certa dei soggetti obbligati e dei beni da tutelare, e un impianto operativo che tenga conto delle reali condizioni del tessuto imprenditoriale. In mancanza di ciò, il vero rischio sarà che questa architettura normativa crolli prima ancora di essere entrata in vigore.