Che cosa si intende per “possesso” di un’azienda? E come si computa il triennio richiesto per rateizzare le plusvalenze da cessione? Il dubbio si acuisce in presenza di contratti di affitto d’azienda. Un’occasione per tornare su un concetto – il “possesso” – troppo spesso dato per scontato anche dal legislatore fiscale.
La bozza della manovra di bilancio 2026 ha introdotto rilevanti novità in tema di rateazione delle plusvalenze per beni strumentali e partecipazioni non PEX, ma non ha modificato i presupposti temporali previsti per le cessioni di azienda o di rami d’azienda. In tale ambito, resta confermato che il contribuente può beneficiare della rateazione quinquennale delle plusvalenze, a condizione che l’azienda sia posseduta da almeno tre anni alla data della cessione.
Analogo riferimento temporale è rinvenibile anche nell’articolo 17, comma 1, lett. g), TUIR, che collega il regime agevolato della tassazione separata al possesso dell’azienda per almeno cinque anni.
Nessuna norma fiscale, tuttavia, chiarisce il significato di “possesso d’azienda”. In assenza di una specifica definizione tributaria, si deve fare ricorso all’ordinario principio giuridico secondo cui, in caso di lacuna normativa, si può ricorrere a significati consolidati in altri settori del diritto, valorizzando l’unitarietà del sistema.
In materia di azienda, il riferimento naturale è l’articolo 2555 c.c., che ne definisce la struttura come “complesso di beni organizzato dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. Se in ambito civilistico permane il dibattito tra impostazione atomistica e monistica, sul piano fiscale la dottrina tende a propendere per una visione unitaria, in quanto “universalità di beni”.
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