Plusvalenze da beni strumentali: la manovra 2026 stringe i tempi e anticipa il gettito
di Simona Baseggio e Barbara Marini
Il disegno di legge di Bilancio per il 2026 si propone di riscrivere la disciplina della rateizzazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di beni strumentali, intervenendo sul comma 4 dell’articolo 86 del TUIR. La riformulazione della norma, presentata sotto il segno della razionalizzazione, cela in realtà una scelta di politica fiscale ben più concreta: comprimere il beneficio temporale riconosciuto ai contribuenti e accelerare, di conseguenza, l’afflusso di gettito nelle casse pubbliche.
Il testo attualmente vigente consente ai soggetti titolari di reddito d’impresa di ripartire le plusvalenze, diverse da quelle relative alle partecipazioni di cui all’articolo 87 TUIR, in quote costanti nell’esercizio di realizzo e nei successivi quattro, purché i beni siano stati posseduti per almeno tre anni, ovvero due per le società sportive professionistiche. Il beneficio ha natura dichiarativa: deve essere esercitato in dichiarazione, pena la tassazione integrale della plusvalenza nell’esercizio di cessione.
Il meccanismo, collaudato da tempo, si fonda sulla considerazione che le plusvalenze su beni strumentali abbiano spesso natura straordinaria e non siano espressione della capacità contributiva ordinaria del periodo. La scelta di rateizzarne la tassazione assume quindi un senso redistributivo e di attenuazione degli sbalzi impositivi, con una funzione non meramente di favore, ma anche di coerenza sistemica.
La novella in esame, invece, cambia l’impostazione: per i beni materiali e le immobilizzazioni finanziarie (diverse da quelle di cui all’articolo 87), la rateizzazione sarà ammessa solo se il bene è stato posseduto per almeno cinque anni, e in ogni caso il numero massimo di rate viene ridotto a tre. Si passa così da una dilazione quinquennale a triennale. Restano invariate le condizioni per le società sportive professionistiche, la cui disciplina specifica rimane confermata.
L’intervento normativo si inserisce in un contesto di esigenza di bilancio tutt’altro che velata. Il vincolo quinquennale sul possesso e la riduzione delle annualità rateizzabili rappresentano, di fatto, una contrazione significativa del beneficio per una parte rilevante del tessuto imprenditoriale, specie per le piccole e medie imprese che si trovano a dover dismettere cespiti importanti a fronte di esigenze straordinarie di liquidità. La modifica determina, in termini sistemici, una redistribuzione del carico fiscale non tanto tra contribuenti, quanto nel tempo: un effetto di traslazione temporale che anticipa l’imponibilità e quindi il gettito. Si tratta di una manovra di finanza pubblica che accelera la realizzazione delle entrate senza alterare formalmente l’aliquota o la base imponibile.
In questo senso, merita attenzione anche la disposizione relativa al ricalcolo degli acconti. Ai fini della determinazione dell’acconto dovuto per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2025, si dovrà assumere, quale imposta dell’anno precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le nuove regole in materia di rateizzazione.
Si è in presenza di una clausola che, lungi dal potersi ritenere di mera natura tecnica, si traduce in un effetto anticipatorio di ancor maggiore rilievo, e, a ben vedere, in un anticipo del tutto privo di giustificazione: nel computo dell’imposta dovuta per l’anno successivo a quello in corso al 31 dicembre 2025, infatti, le rate relative alle plusvalenze realizzate nel 2025 concorreranno alla determinazione del carico impositivo secondo la disciplina previgente, senz’altro più favorevole. Ne deriva, pertanto, che la previsione di ricalcolo dell’acconto finisce per operare quale leva di anticipazione impositiva, foriera dell’insorgere di un debito d’imposta maggiore, che non troverà corrispondente compensazione al momento del saldo finale.
Un ulteriore segnale della volontà del legislatore di sfruttare la modifica normativa come leva per potenziare l’anticipo di gettito.
Sul piano operativo, non è affatto da escludere che la novella legislativa—ove dovesse trovare definitiva conferma—produca effetti sensibili anche sulle scelte strategiche in materia di gestione degli asset aziendali: si pensi, a titolo esemplificativo, ad una possibile attenuazione dell’incentivo alla dismissione di beni strumentali ovvero ad un ricalibrato timing nelle operazioni di cessione di partecipazioni non rientranti nel regime PEX.
È del tutto evidente, infatti, come la possibilità di modulare il carico tributario su un arco temporale più ampio costituisse, finora, un elemento tutt’altro che trascurabile nelle valutazioni di natura straordinaria. In definitiva, mentre per il contribuente si assiste ad una significativa contrazione dell’orizzonte di pianificazione, per l’erario si registra, specularmente, un’accelerazione del momento percettivo del tributo.


