Per qualche dollaro in più: i delitti dichiarativi e il proscioglimento per tenuità del fatto
di Alex Ingrassia
La sensibilità per la ragione fiscale e, con estremo pragmatismo, per il pagamento – più o meno – spontaneo del debito tributario (non solo dell’imposta evasa, ma anche degli interessi e delle sanzioni) ha contagiato anche l’istituto della speciale tenuità del fatto.
L’articolo 131-bis c.p. consente, in generale, la rinuncia alla pena con contestuale proscioglimento dell’indagato-imputato, nel caso in cui il reato commesso si caratterizzi per un modesto disvalore penale, sotto tutti i profili: dalla condotta al danno cagionato, dall’elemento soggettivo al comportamento post delictum del suo autore.
La causa di non punibilità aveva trovato scarsissima applicazione in materia penale-tributaria, tanto in relazione ai delitti di omesso pagamento quanto a quelli dichiarativi: nell’originaria formulazione dell’articolo 131-bis c.p. le condotte successive al reato non avevano alcun peso nel giudizio di tenuità del fatto e, inoltre, uno scostamento poco più che modesto dalla soglia di punibilità veniva considerato dalla Suprema Corte ostativo al proscioglimento.
La tradizionale forza repulsiva verso la tenuità degli illeciti penali tributari sembra, però, potenzialmente destinata a cambiare vettore: la Cassazione nelle sue più recenti decisioni ha mostrato qualche apertura allo spirito del decreto sanzioni, che ha creato una criteriologia ad hoc per un maggior impiego della non punibilità in materia di delitti fiscali.
Il primo passo per l’inversione di tendenza è stato chiaramente legislativo: per superare l’impasse applicativa, il Dlgs. 87/2024 ha descritto puntualmente all’articolo 13, comma 3-ter, Dlgs. 74/2000 gli elementi che il Giudice è chiamato a valutare per stimare tenue un reato tributario.
Il favor per la non punibilità in materia è evidentissimo: se, l’istituto generale della tenuità richiede che ogni elemento del reato sia di disvalore modesto, per i reati tributari è sufficiente che un singolo criterio specifico sia ‘prevalente’, cioè ne basta uno per legittimare il proscioglimento (come ha scritto Poli sulla Rivista di diritto tributario).
Ed è proprio in punto di criteri che emerge nitidamente la matrice riscossiva della scelta legislativa, giacché, in estrema sintesi, il decidente può valutare il fatto tenue perché:
(i) l’imposta evasa si discosta di poco dalla soglia di punibilità (al centro il tax gap);
(ii) dopo la commissione del reato è stato estinto il debito tributario o, comunque è in corso di estinzione (di nuovo al centro il tax gap, che deve essere eliso in tutto o in parte);
(iii) il contribuente è in uno stato conclamato di crisi, come definito dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (che sia l’impossibilità di elidere il tax gap che rende poco interessante punire l’imputato?).
La Cassazione sembra aver aperto – con cautela – alla nouvelle vague.
La decisione 7027 dello scorso 20 febbraio è già stato commentata qui su Blast da Lorenzo Romano: la Suprema Corte annulla con rinvio la condanna per dichiarazione fraudolenta per fatture per operazioni inesistenti, rimproverando i giudici di merito per aver negato il giudizio di tenuità, senza valutare che l’imputato avesse rateizzato e stesse pagando il debito tributario (comunque assai modesto, un importo al di sotto dei diecimila euro, ben inferiore alle soglie di punibilità previste dagli altri delitti dichiarativi).
Per la medesima omessa motivazione sul peso del pagamento del debito tributario nel giudizio di tenuità del fatto, la Cassazione (4145/2025) aveva in precedenza annullato una condanna per dichiarazione infedele (in questo caso senza rinvio, perché il reato si era medio tempore estinto per prescrizione).
Un punto deve essere chiarito: il Supremo collegio ha imposto ai giudici di merito di confrontarsi con il peso preminente riconosciuto dal legislatore all’estinzione – anche solo parziale – del debito tributario in punto di tenuità del fatto, ma non ha offerto un programma d’azione, un vademecum su ‘come’ e ‘cosa’ motivare.
Una scelta che nasconde un nodo non sciolto.
Ai sensi dell’articolo 13, commi 1 e 2, Dlgs. 74/2000 il pagamento del debito tributario comporta automaticamente la non punibilità se:
(i) per i delitti dichiarativi è accompagnato dalla correzione/presentazione della dichiarazione prima della conoscenza formale di controlli tributari o di un procedimento penale;
(ii) per i delitti di omesso versamento e indebita compensazione di crediti non spettanti interviene prima dell’apertura del dibattimento.
Fuori da questi casi, un pagamento del debito tributario può – per indicazione legislativa – da solo comportare la tenuità del fatto e per questo, ci dice la Cassazione, il giudice che voglia negarla deve motivare.
La nuova particolare tenuità penale-tributaria va letta, allora, come una presunzione iuris tantum di meritevolezza della non punibilità, quantomeno quando il debito fiscale sia stato completamente estinto?
Se così è, quali elementi possono condurre al superamento di un tale favor, su cui il giudice deve puntualmente motivare?
Il ‘rischio’ è presto detto: trasformare anche la tenuità del fatto, soprattutto in fase di indagini preliminari, in un ulteriore strumento di contrattazione tra le parti – oltre all’uso a geometria variabile del dolo eventuale, che spesso appare e scompare avvinghiato al debito tributario -, un’altra via per ‘brandire’ la minaccia penale senza attivarla nel giudizio penale, perché la ragione fiscale è già stata saziata al prezzo della non punibilità.
Si badi: la contrattazione della tenuità – non diversamente dalle altre – è un’arma a doppio taglio, perché, da un canto, può garantire l’impunità ai ‘colpevoli’, ma, dall’altro, può consentire l’incasso di un’imposta che, per quanto potrebbe risultare all’esito del giudizio penale o tributario non dovuta, viene pagata per ‘salvare’ i manager dallo spauracchio della “condanna” al processo o, peggio, allo stigma e alla pena criminale.
Starà ai giudici di merito, in primis ai Giudici per le indagini preliminari in sede di valutazione delle richieste di archiviazione per tenuità del fatto, stabilire quale peso riconoscere all’estinzione – totale o parziale – del debito tributario e, in definitiva, decidere se aderire al manifesto programmatico di Macchiavelli: il fine giustifica i mezzi?