Per le perdite Covid l’individuazione di un “terzo genere” di provento crea un vero e proprio cortocircuito
di Dario Deotto e Luigi Lovecchio
La scorsa settimana, per risolvere la questione delle perdite Covid, è stato annunciato che si ricorrerà all’emanazione di un atto di indirizzo a cura del Mef. È stato ipotizzato, a tal fine, l’individuazione di una sorta di tertium genus di proventi, accanto a quelli esclusi ed esenti, i quali non subirebbero le limitazioni previste (per quelli esenti) per il riporto delle perdite.
Si tratta, però, di una soluzione che non convince (e che, anzi, può determinare ulteriori problematiche, come si specificherà a breve); così come non appare convincente il “veicolo” dell’atto di indirizzo.
Vediamo di riportare perché.
Innanzitutto deve necessariamente rammentato quello che accadde con la riforma Ires del 2004, con riguardo, in particolare, all’attuale previsione dell’articolo 109, comma 5, del Tuir (che spesso viene ancora erroneamente individuata, sia da parte degli uffici che da taluni giudici, come fonte dell’inerenza).
In precedenza, l’articolo 75, comma 5, del Tuir (poi sostituito, appunto, dal citato articolo 109, comma 5) stabiliva che “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 63”. Norma, quest’ultima, che disciplinava la deducibilità degli interessi passivi. Come si può notare, la previsione dell’articolo 75 non menzionava né i componenti “esclusi” dal reddito, né quelli “esenti”; la disposizione faceva, infatti, indistintamente riferimento ai “proventi non computabili nella determinazione del reddito”. Di fatto, un analogo concetto si rinveniva nello stesso (citato) articolo 63 (comma 1) del Tuir (attuale articolo 61), il quale menzionava i ricavi e i proventi che concorrono a formare il reddito e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi, senza alcuna distinzione tra quelli “esclusi” e quelli “esenti”, fatto salvo, al comma 3 del predetto articolo 63, il riferimento ai proventi esenti derivanti da obbligazioni pubbliche e private. Il fatto è che l’articolo102 del Tuir (“Riporto delle perdite”, attuale articolo 84) stabiliva anche allora il divieto di riporto in avanti delle perdite in presenza di componenti di reddito esenti, facendo espressa menzione alle previsioni dei predetti articoli 63 e 75, comma 5, del Tuir. Con la conseguenza che occorreva comprendere se il riferimento di quest’ultimi ai proventi non computabili nella determinazione del reddito andasse riferito (solo) a quelli “esenti”.
Tali incertezze sono venute meno con la riforma Ires attuata dal Dlgs 344/2003, attraverso la quale, come si è riportato, la previsione dell’articolo 75, comma 5, Tuir è stata trasfusa nell’articolo 109, comma 5, del medesimo Tuir, stabilendo (nella versione attuale) che “Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Le plusvalenze di cui all’articolo 87, non rilevano ai fini dell’applicazione del periodo precedente”.
È stato così specificatamente disciplinato un diverso trattamento fiscale tra i componenti di reddito negativi riconducibili a ricavi o proventi “esclusi” dalla base imponibile fiscale e quelli riferiti ai proventi “esenti”. In particolare, è stato stabilito che le spese e gli altri componenti negativi che si riferiscono a beni o attività da cui derivano ricavi o altri proventi che non concorrono a formare il reddito, in quanto “esclusi”, risultano sempre deducibili, mentre (lo si ricava indirettamente, come a breve si specificherà) le spese e gli altri componenti che si riferiscono a ricavi o altri proventi che non concorrono a formare il reddito in quanto “esenti” devono essere considerati interamente indeducibili. Per i componenti negativi che, invece, si riferiscono indistintamente a componenti positivi imponibili, esclusi ed esenti, sorge la necessità di calcolare il c.d. pro rata di deduzione.
In sostanza, la disciplina dell’articolo 109, comma 5, Tuir ha voluto proprio dare specifica rilevanza alla differenza tra i concetti di “esclusione” e di “esenzione”, in precedenza sfumata nell’articolo 75, comma 5, Tuir, stabilendo nel contempo il fondamentale principio che solo quando i componenti negativi si riferiscono a proventi esenti essi risultano indeducibili. In questo modo sono risultati chiari i “riflessi” anche ai fini del riporto delle perdite.
A questo punto ricordiamo brevemente la querelle sulle perdite Covid. L’articolo 10-bis del Dl 137/2020 (cosiddetto “decreto ristori”) prevede che “i contributi e le indennità di qualsiasi natura erogati in via eccezionale a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19… non concorrono alla formazione del reddito imponibile … e non rilevano ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5,” del Tuir.
Occorre anche rammentare che il più volte citato articolo 84 del Tuir, in relazione al riporto delle perdite, al terzo periodo del comma 1, stabilisce che “la perdita è diminuita dei proventi esenti dall’imposta diversi da quelli di cui all’articolo 87, per la parte del loro ammontare che eccede i componenti negativi non dedotti ai sensi dell’articolo 109, comma 5” Tuir. La norma, in sostanza, vuole evitare che la perdita fiscale venga riportata in avanti in presenza di componenti reddituali esenti che, come tali, non concorrono alla formazione del reddito imponibile.
Così, per l’Agenzia, poiché l’articolo 10-bis del “decreto ristori” richiama (soltanto) le disposizioni degli artt. 61 e 109, comma 5, Tuir, si avrebbe l’indiretto inquadramento dei contributi Covid tra i proventi esenti, con la conseguente rilevanza dei medesimi ai fini della (sola) previsione dell’articolo 84 Tuir, posto che la disposizione non viene menzionata dallo stesso Dl 137/2020.
Da qui la proposta di individuare una sorta di tertium genus: si tratterebbe di riconoscere, attraverso l’atto di indirizzo di cui si diceva all’inizio, l’esistenza di proventi che non concorrono alla determinazione del reddito e che non sono né “esenti” né “esclusi”, così da non avere alcun problema ai fini del riporto delle perdite.
Si tratta però di una scelta del tutto illogica nell’ottica dell’articolo 109, comma 5, del Tuir. La previsione, “figlia” della riforma Pex, stabilisce, come si è già riportato, il principio in base al quale le spese e i componenti negativi che si riferiscono a proventi esenti sono indeducibili. Il fatto è che la “tipica penna arzigogolata” del legislatore italico ha stabilito tale principio in via indiretta – diversamente da altri ordinamenti (ad esempio, quello tedesco), che prevedono direttamente l’indeducibilità dei componenti negativi riferiti a proventi esenti – disponendo la deduzione dei (soli) componenti negativi che si riferiscono a beni e attività da cui derivano ricavi e proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi.
Sicché, se si andasse ad individuare un terzo genere di proventi che non concorrono a formare il reddito, quindi né esclusi né esenti, si correrebbe il rischio che eventuali componenti negativi in qualche modo riferibili a questi proventi del “terzo genere” non possano essere portati in deduzione (perché, lo si ripete, l’articolo 109, comma 5, Tuir prevede la deduzione solo per quelli imponibili e per quelli esclusi).
Un pasticcio, dunque, che andrebbe sommarsi ad un altro (evidente) pasticcio: quello di essersi dimenticati di citare nella norma del decreto Ristori (così come in altre disposizioni agevolative) l’articolo 84 del Tuir.
Perché è chiaro – nonostante talune tesi fantascientifiche che andrebbero attribuire, se ben abbiamo capito, valenza (prima) di proventi esenti e poi esclusi ai contributi Covid - che quest’ultimi vanno inquadrati tra quelli esenti (ed in questo l’Agenzia ha ragione), solo che il legislatore si è perso per strada il collegamento che vi è tra la previsione dell’articolo 84, comma 1, terzo periodo, Tuir e gli articoli 61 e 109, comma 5, del medesimo Tuir.
In sostanza, tutte queste previsioni rispondono alla medesima finalità: quella di attribuire rilevanza, ai fini della determinazione della base imponibile dell’Ires, alle spese e agli altri componenti negativi. Così che la disposizione dell’articolo 84, comma 1, terzo periodo, Tuir risulta una sorta di “conseguenza” degli altri due articoli di legge qualora le medesime spese e componenti negativi determinino anche una perdita fiscale. Risulterebbe infatti illogico attribuire – da parte dell’articolo 10-bis del “decreto Ristori” - piena rilevanza fiscale alle spese connesse al provento esente (il quale, appunto, eccezionalmente, nel caso di specie non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del Tuir) e poi limitare il riporto delle perdite derivanti (anche) dalle medesime spese.
In sostanza, l’unica cosa che un “atto di indirizzo” può fare è ammettere questa dimenticanza del legislatore (le parole si trovano…) e che, comunque, il riferimento all’articolo 84 Tuir risulta(va) superfluo (questa può essere l’unica cosa sensata da dire).
Altrimenti – davvero - si lasci perdere: si corre ulteriormente il rischio che gli uffici, come un po’ sta accadendo per le contestazioni sui crediti non spettanti ed inesistenti, l’atto di indirizzo lo considerino fino a un certo punto perché c’è sempre l’obiettivo del gettito da portare a casa (considerando che poi c’è l’”incertezza giurisprudenziale” che fa “gioco di squadra”). Che è un po’ lo stesso motivo per il quale la norma interpretativa sulle perdite Covid, in un primo momento ipotizzata nella legge di Bilancio 2026, non viene (per ora) emanata.


