Per l’Agenzia l’omessa registrazione della fattura equivale a rinuncia alla detrazione
di Marco Cramarossa e Barbara Marini
La risposta a interpello n. 115/2025 offre un esempio paradigmatico di come il formalismo tributario possa piegarsi su sé stesso fino a contraddire i principi fondamentali del sistema IVA, a partire da quello, di matrice unionale, della neutralità dell’imposta.
Il caso è semplice nella sua dinamica. Una società riceve nel corso del 2023 alcune fatture di acquisto con IVA detraibile, ma – per mero errore – non le registra nei registri IVA né le include nella dichiarazione per l’anno. Chiede quindi se sia possibile recuperare l’imposta mediante una dichiarazione integrativa a favore, secondo quanto previsto dall’articolo 8, comma 6-bis, del Dpr n. 322/1998. Ad avviso dell’interpellante, infatti, l’omissione non ha prodotto alcun danno erariale: l’IVA non detratta è rimasta interamente nelle casse dello Stato.
L’Agenzia, però, rigetta l’istanza negando il diritto alla detrazione.
Richiamando gli articoli 19 e 25 del Dpr n. 633/1972, l’Agenzia precisa che la detrazione può essere esercitata solo se la fattura è registrata entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno in cui l’IVA è divenuta esigibile. Trascorso tale termine, il contribuente può ancora far valere il proprio diritto alla detrazione mediante dichiarazione integrativa, ma solo nell’ipotesi in cui, pur avendo registrato la fattura di acquisto, abbia omesso per mero errore di esercitare tempestivamente tale diritto. Nel caso di specie, però, la registrazione della fattura di acquisto non è mai avvenuta e, per l’Agenzia, ciò preclude l’accesso alla dichiarazione integrativa, equivalendo a una rinuncia implicita al diritto stesso. In tale condotta – testualmente – “non sono ravvisabili gli estremi dell’errore rilevante ed essenziale” che giustificherebbero l’uso della dichiarazione integrativa.
È proprio questa affermazione che merita una riflessione più attenta. È davvero sostenibile che l’omessa registrazione di una fattura, nel corso di un intero esercizio, non possa derivare da un errore materiale, ma equivalga piuttosto a una scelta consapevole di rinunciare alla detrazione? La costruzione dell’Agenzia, sotto il profilo logico, appare forzata. Nulla, infatti, consente di escludere che l’omissione sia il frutto di una semplice disattenzione, perfettamente rimediabile secondo gli strumenti che l’ordinamento stesso prevede.
Inoltre, dal punto di vista giuridico, l’assimilazione dell’errore materiale a una rinuncia tacita pone più di un problema. La Corte di Giustizia UE ha più volte affermato che il diritto alla detrazione è un principio cardine del sistema IVA e che la sua effettività non può essere vanificata da formalità puramente procedurali, in assenza di frode o pregiudizio per l’Erario. La sentenza Ecotrade (C-95/07) è chiara nel sostenere che un termine decadenziale può essere ammesso solo se proporzionato e rispettoso del principio di effettività: l’omissione non deve rendere eccessivamente difficile o impossibile l’esercizio del diritto. Anche la Cassazione (sentenza n. 14767/2015), seppure in un perimetro diverso, nel quale il contribuente è risultato soccombente, ha avuto modo di chiarire, richiamando la copiosa giurisprudenza unionale sul punto (Corte di giustizia Ue, 11 dicembre 2014, causa n. C-590/13; Corte di giustizia Ue, 12 luglio 2012, causa n. C-284/11), che il diritto alla detrazione può essere validamente esercitato anche ove risultino violati gli obblighi di fatturazione e di dichiarazione di cui agli articoli 18, paragrafo 1, lettera d) e 22 della direttiva n. 77/388/Ce, atteso che si tratta di obblighi di carattere formale, il cui mancato rispetto non incide sulla detraibilità dell’imposta, “fatta salva l’ipotesi in cui la loro violazione comporti l’impossibilità di fornire la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali” in ordine al diritto alla detrazione.
È paradossale, allora, che l’Agenzia neghi l’accesso alla dichiarazione integrativa proprio nel caso in cui questa servirebbe a rimediare a un errore privo di impatto fiscale. Perché mai un errore anteriore (la mancata registrazione) dovrebbe precludere ogni rimedio? Non si rischia così di sanzionare un contribuente solo per il grado di imperfezione del proprio errore?
L’interpello n. 115/2025 finisce così per affermare un principio che va oltre il dettato normativo e che, se accolto in via generale, rischia di minare l’equilibrio tra esigenze di certezza e tutela del diritto di detrazione. Un equilibrio che – oggi più che mai – dovrebbe guardare con maggiore attenzione alla sostanza dei comportamenti e non solo alla loro forma.