Parliamo di soldi: vale ancora la pena fare la professione oggi?
di Mario Alberto Catarozzo
Oggi parliamo di professioni e denaro, un binomio che per decenni è stato quasi scontato. Dire “faccio l'avvocato” o “sono commercialista” un tempo significava appartenere automaticamente a una categoria privilegiata, con redditi sicuri e decisamente sopra la media. Non era solo un percorso di crescita professionale: era la garanzia di un futuro solido. Il cliente che varcava la soglia dello studio sapeva di dover mettere mano al portafoglio; si aspettava parcelle importanti e – cosa ancora più rilevante – non le metteva in discussione. Molti di noi lo ricordano o perché hanno i capelli bianchi oppure perché sono “figli d’arte” e hanno vissuto la professione qualche decennio addietro.
Ma oggi? Oggi lo scenario è radicalmente cambiato. Capita sempre più spesso di incontrare giovani professionisti con lo sguardo preoccupato che domandano: “Ma economicamente, vale ancora la pena intraprendere questa strada?”. Non è una domanda banale. Alcuni cercano rassicurazioni, altri vogliono conferme ai propri dubbi.
È quindi arrivato il momento di affrontare apertamente questo tema spesso considerato “sconveniente”, ma che, in realtà, è centrale per chi deve fare scelte importanti sul proprio futuro o riconsiderare il presente.
I numeri non mentono
Partiamo dai fatti, da ciò che i numeri ci raccontano. Le statistiche delle varie Casse Previdenziali dipingono un quadro che fa riflettere. Un avvocato nei primi anni di attività difficilmente supera i 30.000 euro lordi annui. Un commercialista neoabilitato oscilla tra i 25.000 e i 35.000 euro. Un consulente del lavoro agli inizi si attesta intorno ai 30.000 euro.
Cosa significano queste cifre nella vita reale? Al netto di tasse e contributi, si traducono in redditi mensili che spesso non superano i 1.500-1.800 euro. Non esattamente il premio che ci si aspetterebbe dopo anni di studi intensi, praticantato, sacrifici ed esami di abilitazione estenuanti. Ma attenzione a non fermarci alle medie statistiche. La distribuzione dei redditi nelle professioni segue quella che gli economisti chiamano una “curva a campana fortemente asimmetrica”: molti guadagnano poco, pochi guadagnano molto, pochissimi guadagnano moltissimo.
La polarizzazione dei redditi
È questo il fenomeno più evidente degli ultimi anni: una crescente polarizzazione economica all'interno delle categorie professionali. Da un lato una vastissima platea di professionisti che faticano a raggiungere redditi dignitosi, dall'altro una ristretta élite che continua a prosperare. Le vie di mezzo? Si stanno riducendo drammaticamente, come se il ceto medio delle professioni stesse scomparendo.
Cosa ha determinato questa trasformazione? I fattori sono molteplici e interconnessi. Pensiamo alla concorrenza sempre più agguerrita (in Italia abbiamo oltre 240.000 avvocati, più che Francia e Germania messe insieme!). O alla “commoditizzazione” di molti servizi professionali, ormai percepiti come standard e facilmente sostituibili. E che dire dello sviluppo esponenziale della tecnologia che automatizza attività un tempo redditizie? Per non parlare della crescente sensibilità al prezzo da parte della clientela, sempre più informata e pronta a confrontare preventivi.
È tutto perduto?
Non necessariamente. Quello che è tramontato è un modello di professione, non la professione in sé. Il professionista “generalista” che offre servizi standard a prezzi elevati è destinato a scomparire, come i dinosauri dopo l'impatto del meteorite. Ma nuove opportunità si aprono per chi saprà interpretare il cambiamento, per chi sa evolversi.
La vera domanda da porsi non è “vale ancora la pena fare il professionista?”, ma “quale tipo di professionista vale la pena diventare oggi?”. È una differenza sostanziale, che sposta l'attenzione dal problema alla soluzione.
Chi prospera nell'attuale scenario?
Osservando il mercato, emergono alcuni profili che continuano a crescere e prosperare:
- gli specialisti verticali, coloro che sviluppano competenze approfondite in nicchie specifiche. Sono quelli che, quando si presenta un problema complesso in un ambito particolare, tutti dicono: “Su questo devi parlare con...”. Diventano punti di riferimento insostituibili nel loro segmento;
- i professionisti-imprenditori, che hanno sviluppato strutture organizzate. Non sono più solo tecnici eccellenti, ma hanno imparato a costruire team, processi e know-how scalabile. Non vendono solo il proprio tempo, ma un sistema che funziona anche senza la loro presenza costante;
- gli innovatori, che integrano tecnologia e nuovi modelli di business. Sono quelli che, invece di combattere l'innovazione, l'hanno abbracciata per reinventare il modo di erogare servizi professionali, rendendoli più efficienti, accessibili o personalizzati;
- i networker, capaci di costruire reti di collaborazione efficaci. Hanno compreso che nell'era della complessità nessuno può sapere tutto, e che la capacità di connettere competenze diverse crea valore aggiunto per il cliente e opportunità di business per tutti i soggetti coinvolti.
Le competenze che fanno la differenza (economica)
Riflettiamo su questo: la formazione universitaria e l'esperienza tecnica sono ormai solo prerequisiti, il minimo sindacale per entrare nel mercato. A determinare il successo economico sono sempre più le competenze trasversali, quelle che nessuno ci ha insegnato all'università:
- marketing e comunicazione: sapersi presentare efficacemente e attrarre i clienti giusti. Quante volte abbiamo visto professionisti tecnicamente eccellenti, ma invisibili al mercato?
- vendita e negoziazione: la capacità di valorizzare la propria consulenza e difenderne il prezzo. Quanti di noi si sono trovati ad accettare condizioni economiche insoddisfacenti per paura di perdere il cliente?
- leadership e gestione del team: competenze fondamentali per crescere oltre i propri limiti personali. Senza queste, il professionista resta intrappolato nel vincolo del tempo disponibile.
- visione strategica: l'abilità di anticipare i cambiamenti e posizionarsi in anticipo. In un mondo che cambia velocemente, chi arriva prima raccoglie i frutti migliori.
Dipendente o indipendente?
Oggi molti giovani laureati si interrogano se valga davvero la pena affrontare i rischi e le incertezze della libera professione rispetto a un impiego dipendente in azienda. Non è una domanda banale.
I dati mostrano che gli stipendi iniziali nelle grandi organizzazioni aziendali possono essere più allettanti rispetto ai guadagni dei primi anni di professione. Inoltre, offrono maggiore stabilità, benefit, formazione strutturata e, non ultimo, orari più prevedibili. Chi ha assistito alle telefonate serali di un commercialista durante la stagione delle dichiarazioni sa di cosa sto parlando!
Ma attenzione alla prospettiva temporale: se nel breve termine il rapporto rischi/benefici può favorire la strada aziendale, nel lungo periodo la professione – per chi sappia interpretarla nei modi giusti – mantiene potenzialità di crescita economica difficilmente raggiungibili con un lavoro dipendente. È come scegliere tra una partenza rapida e un'accelerazione costante.
Il valore oltre il denaro
Dovremmo infine chiederci se il valore di una professione possa essere misurato solo in termini monetari. La libertà di gestire il proprio tempo e le proprie scelte, la soddisfazione di seguire direttamente i propri clienti, l'autonomia decisionale e creativa, il prestigio sociale (ancora presente, seppur ridimensionato) sono elementi che entrano nell'equazione e che ciascuno deve soppesare secondo la propria scala di valori. Pensiamo a quante volte, in un lavoro dipendente, ci siamo trovati a dover eseguire direttive con cui non eravamo d'accordo. O a quante opportunità abbiamo dovuto rinunciare perché non rientravano nelle politiche aziendali. La professione, con tutti i suoi rischi, offre ancora uno spazio di libertà che ha un valore non solo economico.
La scelta consapevole
Tornando alla domanda iniziale: vale ancora la pena, economicamente, intraprendere la strada della professione? La risposta più onesta è: dipende. Dipende dalle tue aspettative, dalle tue attitudini personali, dalla tua disponibilità ad investire non solo nelle competenze tecniche, ma anche in quelle relazionali e imprenditoriali. Dipende dalla tua capacità di leggere i cambiamenti e adattarti, reinventandoti quando necessario.
Ciò che è certo è che niente è più garantito. La professione non è più un approdo sicuro, ma una scelta che richiede consapevolezza, impegno costante e visione strategica. Chi si avvicina alle professioni “classiche” con l'aspettativa di guadagni facili andrà incontro a delusioni. Chi invece vi vede un percorso da costruire attivamente, con tutti i rischi e le opportunità che comporta, potrà ancora trovarvi soddisfazioni non solo economiche.
Come recita un antico proverbio cinese: “Se vuoi un anno di prosperità, fai crescere il grano. Se vuoi dieci anni di prosperità, fai crescere gli alberi. Se vuoi cent'anni di prosperità, fai crescere le persone”. Forse, il futuro delle professioni sta proprio qui: nella capacità di far crescere valore vero, duraturo, per sé e per i propri clienti.
E voi, professionisti di lungo corso o giovani alle prime armi, qual è la vostra esperienza? Vale ancora la pena, economicamente, fare il professionista oggi? Attendiamo con piacere i vostri commenti (sia nei profili social di Blast sia in quelli di chi scrive).
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Foto di Mudassar Iqbal da Pixabay