Ora legale/ora solare: perché il cambio semestrale non ha (più) senso nel mondo del lavoro
di Claudio Garau
Ogni anno a ottobre, come un rituale imposto e accettato con rassegnazione, spostiamo le lancette. Un’ora avanti in primavera, un’ora indietro in autunno. L’alternanza tra ora solare e ora legale, un gesto semplice - anzi automatico - che nasconde però conseguenze tutt’altro che marginali. Conseguenze che possono essere psicologiche, fisiologiche e produttive, percepite molte volte in un mal di testa, in uno stato di sonnolenza diurna, nello scarso appetito o in una improvvisa sensazione di affaticamento, in ufficio o in qualsiasi altra situazione quotidiana. Si guadagna un’ora di sonno, ma c’è chi perde brillantezza e intraprendenza. E, per chi lavora tutto il giorno in ufficio, significa uscire quando è già buio. Un piccolo, ma costante, drenaggio di energia.
In Italia, il cambio dell’ora da solare a legale (e viceversa) fu adottato definitivamente negli anni Sessanta del secolo scorso, dopo essere stato introdotto come misura di risparmio energetico durante le due guerre mondiali. Oggi quel risparmio è diventato una questione controversa. Perché, a fronte di benefici misurabili in termini di consumi, si moltiplicano gli studi che ne mettono in discussione l’effettivo costo per l’uomo. Secondo Terna, grazie all’ora legale nel 2025 il risparmio è stato di circa 90 milioni di euro, con 145 mila tonnellate di anidride carbonica in meno. In termini ambientali, è come piantare qualcosa come quattro milioni di alberi. Ma sui benefici dell’ora legale non sono tutti d’accordo e, men che meno, sul cambio dell’ora due volte l’anno.
Non è un caso se l’Unione Europea, già nel 2018, aveva dato il via libera all’abolizione del cambio semestrale. A seguito di una consultazione pubblica che registrò l’84 per cento dei voti favorevoli, il Parlamento UE decise di lasciare ai singoli Stati la libertà di accordarsi e scegliere se restare nell’ora solare o in quella legale. Sembrava la fine di un’abitudine ormai stanca. Ma la macchina politica europea, come spesso accade, finisce per incepparsi: fra esitazioni, pandemia e guerre, il dossier è rimasto fermo e sepolto tra le carte di Bruxelles.
Oggi però si ricomincia a parlarne, grazie alla Spagna e al suo premier Pedro Sánchez, che ha definito “senza senso” spostare le lancette due volte l’anno. Vorrebbe l’ora solare tutto l’anno e ha intenzione di proporre l’eliminazione del cambio dell’ora al Consiglio Europeo. A ben vedere, non deve affatto sorprendere che il nuovo tentativo di riaprire il dibattito giunga proprio da questo Paese, perché il fuso orario spagnolo è un’anomalia in Europa. Per ragioni storico-politiche, la Spagna vive da oltre ottant’anni con un’ora “sfasata” rispetto al sole, errata rispetto alla sua longitudine naturale. Geograficamente allineato al meridiano di Londra e Lisbona, il Paese - per mere ragioni logiche - dovrebbe adottare l’ora di Greenwich. Ma non l’ha ancora fatto e le giornate spagnole sembrano più “lunghe” di quelle italiane, a parità di orario.
Dietro la questione tecnico-politica e le discussioni ai vertici europei, si nasconde un problema molto più concreto: il prezzo (invisibile) pagato dai lavoratori. Ogni spostamento dell’orologio è, in realtà, un piccolo scuotimento dell’essere umano. La mancanza di un equilibrio stabile tra tempo biologico e tempo sociale fa male all’uomo. Quello che si scompensa è il ritmo circadiano, l’orologio biologico che regola il sonno, la concentrazione, l’appetito, l’affaticamento, l’umore. Il ritmo sonno-veglia è alterato dal ritorno all’ora solare, con un inevitabile rischio di peggioramento della qualità della prestazione lavorativa. Possiamo sperimentarlo tutti, almeno una volta nella vita.
E non va meglio con il passaggio all’ora legale, in primavera. L’effetto è paragonabile a un mini jet lag. La melatonina si produce in ritardo, il sonno si riduce e la vigilanza cala. È possibile leggere studi molto interessanti su queste transizioni stagionali, che ci fanno notare che dietro un gesto banale come lo spostamento delle lancette, si celano analisi accurate e approfondite.
Come quella del Centro di medicina del sonno dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli - pubblicata nella rivista Sleep Medicine Reviews - secondo cui il passaggio all’ora legale comporta una riduzione della qualità e della durata del sonno, soprattutto nei “cronotipi serali” - i cosiddetti gufi, abituati ad addormentarsi tardi. Ma ne risentono anche i lavoratori a turni, ad esempio in settori come quello sanitario o dei trasporti. Oltre a stanchezza e sonnolenza, aumentano i casi di ictus, infarti e accessi in pronto soccorso nei giorni successivi al cambio d’orario. Perfino un incremento delle cadute e degli incidenti stradali e sul lavoro.
A parere di chi scrive siamo - semplicemente - di fronte all’evidenza, ossia a segnali coerenti con l’idea che il nostro organismo fatichi a sincronizzarsi con un orario artificiale e non fisso. Sono ricerche che ci dicono che il disallineamento tra l’orologio biologico interno, quello solare e quello sociale, può protrarsi anche oltre i giorni immediatamente successivi al cambio, per settimane o anche mesi, influenzando la qualità del riposo e la regolazione ormonale. Ma il sonno, si sa, è un farmaco potente, una medicina naturale, tanto che - come dicono i medici - basterebbe un’ora in più di riposo, per abbassare il cortisolo e ridurre i rischi di malattie stress-correlate.
Il cambio dell’ora è una possibile minaccia per l’attività lavorativa e, in particolare, per quelle occupazioni in cui concentrazione, prontezza di riflessi e regolarità dei ritmi sono fondamentali: dai lavoratori turnisti agli autisti, dagli operatori sanitari fino a chi svolge mansioni intellettuali complesse o di responsabilità decisionale. Le aziende non lo percepiscono subito, ma la somma di milioni di “micro-scompensi” può pesare eccome. Sonnolenza, ritardi, errori non giovano a nessuno.
In analogia alle conclusioni di una ricerca americana pubblicata lo scorso 15 settembre sulla nota rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), il suddetto studio del Centro di medicina del sonno spiega altresì che la permanenza nell’ora legale tutto l’anno porta al costante disallineamento tra i cicli luce-buio naturali e le abitudini quotidiane dell’uomo, con possibili ripercussioni sul metabolismo, sull’umore e sul rendimento cognitivo. L’istituto conclude, quindi, che l’ora solare è più fisiologica e coerente con i ritmi circadiani umani, che beneficerebbero dell’abbandono del cambio delle lancette. Senza ora legale si lavorerebbe meglio, quindi.
A questo punto la domanda è inevitabile: perché proseguire con il cambio dell’ora? La risposta sta nel risparmio energetico, almeno secondo Terna. Infatti, quest’ultima stima circa 310 milioni di kWh risparmiati nei sette mesi di ora legale, nel corso di quest’anno. Un numero non irrilevante, certo, ma in un’economia che spreca energia in mille altri modi - server accesi giorno e notte, illuminazioni superflue, trasporti inefficienti - lo spostamento dell’ora potrebbe apparire, ormai, un rimedio d’altri tempi.
Anzi, secondo le ricerche del menzionato Centro di medicina del sonno, il risparmio energetico derivante dall’ora legale sarebbe assai modesto, in termini relativi. Raramente maggiore dello 0,5 per cento dei consumi annuali e, in alcune regioni, può addirittura trasformarsi in un aumento dei costi, a causa dell’uso prolungato dei sistemi di climatizzazione, come ad es. in ufficio.
Forse non sorprenderà, allora, che sempre più medici chiedano di restare tutto l’anno in uno stesso orario, al fine di evitare le conseguenze sulla salute del cambio dell’ora. E, a parere di chi scrive, ciò sarebbe una “conquista” sociale non indifferente. Perché continuare a sottoporci ad uno stress, che ricorda quello del cambio del fuso orario o gli orari variabili dei turnisti?
Parlando apertamente di alterazione dell’orologio biologico e dei ritmi circadiani, la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) sostiene qualcosa di diverso dal Centro di medicina del sonno, a conferma che tra i ricercatori non c’è comunanza di opinioni. SIMA afferma che l’ora legale, oltre ad alleggerire le bollette energetiche, è la più adatta a un paese come l’Italia. Non a caso, più di 350 mila italiani hanno già firmato una petizione web, lanciata proprio dalla Società, per chiedere al Governo di mantenere l’ora legale tutto l’anno, ritenendola la soluzione più “naturale” per un territorio mediterraneo come il nostro, che vive di luce e in cui le attività all’aperto sono amate da milioni di persone. Non una brutta idea, in fin dei conti. E sulla stessa linea si è collocato il Codacons che, già qualche anno fa, presentò all’Esecutivo la proposta di adottare l’ora legale permanente come forma di contrasto al caro-energia (prospettando peraltro il ricorso al Tar in caso di inerzia delle istituzioni).
Senza dimenticare, poi, il fattore sicurezza nelle città, perché un’ora di luce in più nelle ore pomeridiane riduce i rischi legati alla circolazione e alla sicurezza personale, soprattutto nei mesi invernali. Con il tramonto posticipato, i lavoratori che escono dall’ufficio nel tardo pomeriggio - o in prima serata - non si ritrovano immediatamente al buio, con benefici evidenti in termini di visibilità sulle strade, minor rischio di incidenti e una maggiore percezione di sicurezza nei percorsi a piedi o con i mezzi pubblici. Un piccolo spostamento dell’orologio che, nella vita quotidiana, può fare una grande differenza.
C’è anche un aspetto simbolico, che tocca la percezione stessa del tempo nel mondo del lavoro. Viviamo in una società che spinge sempre a comprimere, accelerare, anticipare. Il cambio dell’ora, con il suo meccanismo forzato, sembra quasi la metafora perfetta di questa filosofia: piegare il ritmo naturale alle esigenze della produzione. Ma l’organismo non obbedisce agli orologi sociali.
In attesa della parola fine al cambio dell’ora, i cittadini restano sospesi fra due tempi: quello che vorrebbero vivere e quello che devono subire. E i lavoratori, in particolare, continuano a fare i conti con un sistema che pretende efficienza da corpi disallineati. Al fine di regolare il proprio orologio biologico, può non bastare la modifica dei turni, oppure l’ingresso facilitato della luce negli uffici o, ancora, una passeggiata più lunga in pausa pranzo. Con un filo di sarcasmo, si potrebbe dire che se l’ora legale nacque per risparmiare energia, oggi forse dovremmo usarla per risparmiare persone.
Il tempo, dopotutto, non è una variabile da regolare a piacimento. È la sostanza stessa del nostro equilibrio - biologico, mentale, sociale. E finché, testardamente, continueremo a spostare le lancette ignorando questo equilibrio, continueremo a perdere non tempo, ma vitalità. Non credo convenga ad alcun datore di lavoro.


