Il significato dato alla parola “obsolescenza” coinvolge diversi ambiti di settore che vengono interessati quasi simultaneamente.
In ambito economico, con questo termine si misura infatti il calo del valore di un bene in conseguenza di una perdita progressiva di efficienza, riferita ad un particolare settore della tecnologia (elettronico, impiantistico e meccanico) ma che può includere anche il campo ingegneristico in seno all’edilizia. Tutto ciò si basa ovviamente sull’avvento di costanti scoperte e invenzioni che vanno a surclassare l’utilizzo del bene a cui fanno riferimento. Tant’è vero che, con l’arrivo di una nuova e più avanzata tecnologia, spesso il valore di “obsolescenza” supera la previsione di ammortamento del bene stesso con l’effetto di renderlo inutilizzabile prima del tempo.
È interessante sapere che già dai primi decenni del Novecento, sotto il campo d’azione dell’economia industriale e al fine di aumentare i profitti delle aziende interessate, la strategia di pianificare l’utilizzo di un prodotto per limitarne la durata, ha preso piede in maniera sempre più evidente. Attualmente, in questo contesto di “obsolescenza programmata” o “pianificata”, la produzione e vendita di nuovi beni va di pari passo con la loro dismissione o rottamazione. Il danno inferto al consumatore viene a cozzare con il paradosso che generalmente descrive quest’ultimo come un consumista incallito, poco attento all’ambiente e all’esigenza comune di ridurre sprechi e rifiuti. E mentre il consumatore rimane all’oscuro delle reali strategie economico finanziarie legate al mercato, nuovi bisogni vengono innescati attraverso pubblicità distorte che descrivono come sicuramente “obsoleta” la propria auto, con la conseguente necessità di doverla cambiare.
Andando ad analizzare la parola “obsolescenza” più nel dettaglio, l’etimologia del termine, proveniente dal latino obsolescĕre, può far riferimento in maniera generale anche all’invecchiamento, al superamento di una qualsiasi istituzione, ordinamento o disciplina.
In ambito giuridico, appunto, vengono eliminate le leggi “obsolete”, risalenti a epoche pregresse e che non trovano più fondamento nella realtà odierna. Un esempio ne è la recente abolizione del Regio Decreto per l’approvazione del “regolamento per l’applicazione della legge riguardante l’allevamento e l’impiego dei colombi viaggiatori”, chiaramente risalente al periodo della monarchia.
Anche in ambito intellettuale vi sono chiavi di lettura dettate da nuovi modelli di apprendimento che vedono, “nell’obsolescenza del sapere”, un mezzo per crescere a livello conoscitivo. Imparare a disimparare, quindi, porterebbe all’eliminazione di vecchie abitudini e conoscenze che in caso contrario andrebbero ad impedire il nuovo apprendimento. In tale contesto, il disimparare viene visto come uno strumento che guida verso il cambiamento.
Intendendo tutto ciò anche come l’acquisizione di una nuova e particolare forma mentis, resta da capire se, all’interno di questo processo di “obsolescenza” guidata, si possano conservare le peculiari qualità umane di pensiero.
Culturalmente, nell’ottica di dover dichiarare “obsoleto” tutto ciò che è “vecchio”, ci potremmo ricollegare a talune affermazioni, anche di personaggi di spicco, che vedrebbero - perfino nella filosofia - una dottrina “obsoleta” e perciò già morta. Ma il fatto stesso che questa disciplina sia conosciuta come “la madre di tutte le scienze”, sembrerebbe contrastare già in partenza con quest’opinione; tanto più che l’approccio filosofico risulta saldamente legato alla “logica”, al ragionamento e all'argomentazione, attraverso procedimenti deduttivi che ne convalidino l’efficacia.
Nell’intendere la filosofia, nella sua essenza più pura, anche come “l’incessante ricerca della verità”, il considerarla “obsoleta” farebbe andare incontro al rischio di subordinare il concetto di “verità” ad altri scopi.
In tale contesto andrebbe perso un grande dono, strettamente legato allo studio di questa materia, di sviluppare appieno la propria coscienza critica.