Le Nuove Indicazioni 2025 per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione si presentano come un documento ambizioso e strutturalmente complesso, che intende ridefinire le finalità, l’organizzazione curricolare e la cultura educativa del sistema scolastico italiano. Il testo, frutto del lavoro di una commissione scientifica composta da pedagogisti, esperti disciplinari, dirigenti scolastici e rappresentanti del mondo dell’istruzione, è dichiaratamente aperto al dibattito pubblico.
Non si tratta ancora di un testo normativo vincolante, ma di una base di confronto ampia, progettata per orientare il futuro della scuola italiana.
L’approccio adottato è interdisciplinare e integrato. La visione che emerge è quella di una scuola costituzionalmente fondata, centrata sulla formazione integrale della persona — non solo nelle dimensioni cognitive, ma anche affettive, relazionali, corporee, estetiche, etiche e spirituali.
Il cuore del documento è la “persona” come soggetto attivo, libero, in relazione, in continua costruzione.
Le Nuove Indicazioni ricollegano ogni principio educativo alla Carta costituzionale e alle Raccomandazioni europee, in particolare quella del 2018 sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente.
Grande attenzione è posta alla relazione scuola-famiglia, al concetto di alleanza educativa, al patto di corresponsabilità, al ruolo dell’insegnante come figura di riferimento e non mero trasmettitore di saperi.
Vengono valorizzati concetti come:
la continuità verticale tra infanzia e primo ciclo,
la progettazione del curricolo per nuclei fondanti,
la funzione educativa della valutazione,
il ruolo della scuola come presidio di umanesimo e di pensiero critico,
la necessità di una pedagogia delle differenze, dell’inclusione, della sostenibilità, della convivenza democratica.
Il linguaggio del documento è spesso ispirato, denso di richiami filosofici, pedagogici, antropologici e costituzionali — in alcuni tratti ricorda un manifesto culturale, più che una guida operativa.
È inoltre evidente un forte investimento ideologico e simbolico: la scuola è pensata come luogo di costruzione del sé, di apertura all’altro, di dialogo interculturale, di responsabilità etica e sociale.
Nel complesso, il documento aspira a una scuola alta, impegnata, viva, che forma cittadini liberi, consapevoli, competenti, capaci di abitare la complessità del presente e del futuro.
Elementi critici
Il linguaggio delle Nuove Indicazioni è denso, ricco, stratificato. Ma anche strategicamente opaco. Dietro l'apparente profondità, si cela una complessità che rischia di sfuggire a chi ogni giorno sta in classe con i bambini.
Le Nuove Indicazioni 2025 si presentano come un documento teoricamente raffinato, ben argomentato e con un orizzonte culturale ampio. Eppure, proprio questa apparente completezza rappresenta uno dei primi punti critici: la distanza tra enunciazione e operatività.
Un testo ipertrofico, non facilmente agibile. Le Nuove Indicazioni contano 154 pagine di testo, con riferimenti continui a fonti normative, filosofiche, pedagogiche, costituzionali, sociologiche e anche religiose. Questo crea un effetto di “muro lessicale” che scoraggia l’insegnante che cerca indicazioni operative per agire in aula. Non è un testo per chi insegna. È un testo per chi progetta. Ma chi progetta, se non l’insegnante stesso?
L’ambiguità tra prescrizione e ispirazione. Le Indicazioni si dichiarano “aperte, dinamiche, non prescrittive”, e allo stesso tempo definiscono competenze attese, obiettivi specifici, obiettivi generali, moduli interdisciplinari, indicazioni metodologiche, ibridazioni tecnologiche, profili di uscita, curricoli verticali, valutazioni processuali. Se tutto è importante, nulla lo è veramente. La mancanza di un chiaro “scheletro didattico” agibile rende l’intero impianto più simile a una cornice culturale che a un reale strumento operativo.
Il rischio della retorica: parole grandi, impatto debole. Molti dei passaggi centrali utilizzano una prosa altisonante: “Scrivere è vivere.” “La scuola deve integrare intelligenza artificiale e sapienza del cuore.” “L’insegnante è Maestro, è magis: più”. “L’insegnante è Maestro, è magis: più”: è una frase suggestiva, ma chiede una traduzione concreta. Cosa significa “essere più”? Più ascolto? Più presenza? Più lavoro invisibile? Finché resta evocazione, non è una leva operativa.” Si tratta di frasi affascinanti, e anche condivisibili, ma non traducono comportamenti, strategie, strumenti. Il rischio è che si parli “della scuola” senza parlare alla scuola. Un lessico pedagogico raffinato non sostituisce il bisogno di concretezza.
Sovraccarico concettuale e lessicale. Il testo è costellato di concetti come autogoverno, bonum commune, universal design for learning, cura della relazione, partecipazione integrale, ibridazione disciplinare, inclusione interculturale, valutazione processuale e sistemica. Ogni parola ha un peso, ma la somma di tutte rischia di creare una pedagogia che si contempla invece che agire. Il vero rischio non è che le scuole non capiscano le Nuove Indicazioni: è che ci rinuncino. E continuino come prima; solamente più confuse.
Somiglianze preoccupanti
Quando un documento cambia forma, ma non sostanza, la sensazione di déjà vu è difficile da ignorare. Le Nuove Indicazioni 2025 presentano un impianto dichiarativo denso, ambizioso, perfino nobile nei toni. Ma sotto questa veste, si avvertono echi ricorrenti di modelli già noti, in cui la scuola viene declinata più come presidio valoriale e identitario che come laboratorio di pensiero critico e pluralismo metodologico.
Lessico e visione etico-normativa. Espressioni come educazione al limite, reverenza verso il maestro, bonafides, massimo rispetto per l’adulto, appartengono a una retorica che enfatizza la dimensione etica e relazionale del contesto scolastico, ma che rischia di subordinare l’autonomia professionale del docente a un principio di coerenza “morale” più che pedagogica. È evidente lo sforzo di risemantizzazione del concetto di libertà — definita come autogoverno e interiorizzazione del limite — ma la connessione con la tradizione attivistica e costruttivista è evocata più che praticata.
Merito e talento: emancipazione o selezione implicita? Anche la centralità del concetto di talento, richiamato come strumento per l’emancipazione personale e il pieno sviluppo della persona (articolo 3 della Costituzione), è ambiguamente posizionato. Il testo sottolinea il potenziale trasformativo della scuola per valorizzare le inclinazioni di ciascuno, ma non affronta esplicitamente la questione delle disuguaglianze strutturali, rischiando così di riprodurre una visione meritocratica poco attenta al contesto. Parlare di talento senza discutere seriamente delle condizioni materiali in cui si sviluppa, può diventare una forma elegante di esclusione sistemica.
Inclusione e comunità educante: linguaggio internazionale, visione nazionale? Il ricorso a espressioni come comunità educante, personalizzazione dei percorsi, valorizzazione delle potenzialità richiama — sia nei toni che nei contenuti — i documenti prodotti da organismi internazionali come l’OCSE e la Commissione europea (si veda il riferimento al framework DigComp 2.2 e alla Raccomandazione del Consiglio UE 22 maggio 2018). Se da un lato questo posizionamento garantisce coerenza con gli standard europei, dall’altro rischia di spingere la scuola italiana verso un conformismo lessicale, più orientato alla rendicontazione di performance che alla costruzione di visione culturale autonoma.
Dissenso e riformismo: un conflitto nascosto? Infine, preoccupa una possibile tendenza a interpretare il dissenso come ostacolo al cambiamento. Le Nuove Indicazioni appaiono molto compatte nella loro retorica di rinnovamento, ma non lasciano spazio a dubbi epistemologici, a tensioni interpretative, a domande “scomode”, che invece sono parte imprescindibile di una scuola realmente democratica.
Una scuola democratica non teme il dissenso. Lo assume. Lo elabora. Lo educa. Ne fa occasione di pensiero.
Spunti di riflessione
L’equilibrio tra contenuti e metodo non si raggiunge ampliando all’infinito le competenze, ma scegliendo con rigore le conoscenze essenziali. Il documento delle Nuove Indicazioni 2025 mette al centro il concetto di "conoscenze essenziali" e di un curricolo che privilegia la profondità rispetto alla quantità. Tuttavia, questa impostazione solleva una domanda cruciale: siamo sicuri che le conoscenze essenziali siano effettivamente definite, condivise e comprensibili per tutti gli attori coinvolti (docenti, famiglie, studenti)? Oppure c’è il rischio che la definizione di ciò che è “essenziale” venga lasciata a una discrezionalità eccessiva, con effetti disomogenei sui percorsi formativi?
Una scuola che fa tutto rischia di non fare nulla con profondità.
L’ambizione di costruire una “scuola totale” che sia inclusiva, tecnologicamente aggiornata, umanisticamente fondata, emotivamente accogliente, ecologicamente sensibile e al contempo rigorosa sul piano delle competenze disciplinari è encomiabile, ma rischia anche di diventare paralizzante. Quali sono le priorità? Quali dimensioni formative sono irrinunciabili e quali possono essere affidate ad altre agenzie educative, senza indebolire la missione scolastica?
Se tutto è strategico, nulla è strategico. Se ogni campo è prioritario, nessuna urgenza è visibile.
Il linguaggio utilizzato nelle Nuove Indicazioni è ricco, colto, denso di riferimenti. Tuttavia, può risultare poco accessibile, o addirittura scoraggiante per chi lavora in trincea, tra classi numerose, tempi stretti e risorse limitate. Una scuola che vuole formare il pensiero critico deve prima di tutto esercitarlo nella propria autoriflessione: a chi stiamo parlando? In che modo accompagniamo il docente, senza sommergerlo di attese ideali?
La tecnologia è uno strumento, non una visione. E non è mai neutra.
Le sezioni dedicate all’intelligenza artificiale e all’ibridazione tecnologica aprono scenari interessanti, ma non chiariscono fino in fondo i limiti, le cautele, le linee rosse. Il rischio è di procedere verso un’adozione acritica o, all’opposto, puramente decorativa delle tecnologie. Serve una guida più netta, più etica che tecnica.
L’inclusione non è una retorica, ma una responsabilità sistemica.
Il documento è ricco di aperture su disabilità, bisogni educativi speciali, personalizzazione e universal design. Ma non basta dichiarare inclusione per realizzarla: servono strutture, formazione, coordinamento. Le parole contano, ma le condizioni materiali ancora di più.
Quando tutto diventa apprendimento, rischiamo di smarrire il confine tra scuola e mondo.
La scuola non può essere tutto. Non può essere psicoterapia, mediazione familiare, centro civico, piattaforma di orientamento esistenziale e nello stesso tempo presidio del sapere disciplinare. Serve il coraggio di dire: questo è compito della scuola. Questo no.
Conclusioni
Una scuola efficace non è quella che dice tutto, ma quella che sceglie cosa dire bene.
Le Nuove Indicazioni 2025 offrono una visione ampia, ambiziosa, per certi versi nobile.
Ma una visione troppo ampia rischia di diventare una mappa senza scala, in cui ogni cosa è importante e nulla è urgente.
Servono scelte. Serve coraggio progettuale.
Non bastano cornici pedagogiche raffinate o visioni umanistiche condivisibili.
Il punto è la traducibilità: ogni parola scritta deve poter diventare azione didattica concreta, in un’aula reale, con tempi e vincoli reali, con bambini reali.
E se non si traduce, si trasforma in distanza.
Una scuola che vuole cambiare il futuro deve prima proteggere il presente di chi la abita.
Insegnanti e studenti non hanno bisogno di nuovi slogan, ma di un equilibrio credibile tra ideali e fattibilità.
Tra innovazione e semplicità.
Tra etica e didattica.
E se la scuola italiana saprà costruire questo equilibrio, forse non sarà perfetta.
Ma sarà giusta.
E soprattutto: sarà umana.