Non importa se è reale. È mercato (quello degli asset digitali)
di Alberto Ferrari
C’è un momento, nella storia economica, in cui i mercati non bastano più e occorre creare spazi nuovi in cui far nascere valore. Ecco come l’emergere di un nuovo territorio autonomo, costruito attorno a una nuova idea di cosa sia un bene, chi possa generarlo, come venga scambiato e cosa lo renda affidabile – in poche parole, un nuovo mercato – possa essere visto come una risposta a questa esigenza.
L’industria delle criptovalute non è un’estensione della finanza tradizionale, né una sua deriva speculativa. È qualcosa di autonomo, con dinamiche proprie, attori globali, prodotti, infrastrutture, regole emergenti e una narrativa che si sta radicando in ogni angolo dell’economia digitale. È il mercato degli asset digitali, e non è più possibile trattarlo come una nicchia.
Nel giro di pochi anni, quello che era il territorio di pionieri, sviluppatori e investitori ad alto rischio è diventato un ecosistema stabile, popolato da exchange istituzionali, gestori patrimoniali, società fintech, banche e, oggi, anche da governi. È un settore che non si limita più a produrre criptovalute, ma genera valore, crea liquidità, produce dati, attrae investimenti e influenza direttamente il modo in cui pensiamo alla moneta, alla proprietà, alla finanza stessa.
Questo nuovo mercato ha ricevuto, nei primi mesi del 2025, un segnale di legittimazione formale: l’endorsement dell’amministrazione americana, che non si è limitata a dichiarazioni simboliche, ma ha agito con decisioni normative e strategiche. L’ordine esecutivo che ha istituito la “Strategic Bitcoin Reserve” non è solo un atto di politica economica. È la presa d’atto che Bitcoin e gli asset digitali non sono più un’alternativa ideologica, ma un’infrastruttura strategica.
Ma il punto d’inflessione non è stato solo politico. È avvenuto quando Bitcoin ha smesso di essere considerato una moneta. Il passaggio, avvenuto lentamente tra il 2016 e il 2020, ha segnato il distacco dall’idea di un mezzo di pagamento decentralizzato, come previsto nel whitepaper del 2009, per diventare invece una riserva di valore. Un bene rifugio, paragonato sempre più all’oro. Questa evoluzione ha neutralizzato l’aspetto più scomodo per i governi: la concorrenza diretta con le valute fiat. Una moneta alternativa è inaccettabile per lo Stato. Un asset digitale, invece, può essere integrato, normato, persino custodito in bilancio.
Questa trasformazione ha aperto lo spazio per un ecosistema più ampio. Non solo Bitcoin, ma stablecoin, tokenizzazione di asset, finanza decentralizzata, NFT, piattaforme ibride. Secondo i dati del 2025, il settore ha raggiunto capitalizzazioni consistenti, con l’interesse crescente dei grandi fondi, delle piattaforme di pagamento globali e delle principali istituzioni bancarie. Il passaggio da “cripto-mercato” a “mercato degli asset digitali” è ormai compiuto, e le stablecoin giocano un ruolo chiave in questa nuova fase. Nate per ridurre la volatilità delle crypto, oggi sono a tutti gli effetti strumenti monetari privati, un nuovo modo per piazzare debito pubblico, quasi sempre statunitense. Treasury bond, fondi monetari, strumenti di breve termine: le stablecoin, in questo senso, sono canali di monetizzazione indiretta del debito sovrano, emessi e gestiti fuori dai bilanci delle banche centrali. Il mercato compra stablecoin perché ha bisogno di liquidità stabile, e i loro emittenti usano quei fondi per acquistare titoli di Stato.
Questa lettura spiega anche la resistenza da parte dell’attuale amministrazione pubblica americana alle CBDC. Vietare la creazione di un dollaro digitale pubblico non è solo una questione di privacy o libertà individuale. È anche un modo per non disturbare l’equilibrio che si è creato: un mercato che crea “moneta privata in dollari”, sostenuta da debito USA, senza interferenze della FED.
In questo contesto, le criptovalute non sono più semplicemente un’alternativa al sistema. Sono un nuovo sistema, nato dal mercato, modellato dal software, sostenuto dalla domanda. Non sostituiscono la finanza tradizionale, ma ne propongono una variante. Più trasparente per certi aspetti, più opaca per tanti altri. Forse più efficiente, ma per molti aspetti meno democratica. È il linguaggio del valore che sta cambiando.
Il mercato degli asset digitali è oggi una risposta a un sistema economico in trasformazione. È una forma nuova di creazione e trasferimento di valore, che si è costruita dal basso, ma ora parla con le istituzioni. Non è la fine della moneta ufficiale, ma la nascita di un nuovo paradigma, dove la fiducia, prima affidata alla community, si trasferisce ora su strumenti che riproducono la solidità percepita delle valute fiat – ma lo fanno in forma privata, sfruttando la credibilità del dollaro più che costruendo una fiducia autonoma.
Ed è forse questa la vera discontinuità: non importa se il valore sia reale, artificiale, garantito da codice o sostenuto dalla fiducia. Ciò che conta è che venga creato. E che venga riconosciuto come tale.