Quando si parla di qualità nelle organizzazioni — che siano aziende manifatturiere, imprese di servizi o studi professionali — non si può ignorare il ruolo della certificazione ISO 9001. È lo standard di riferimento più diffuso al mondo per i sistemi di gestione della qualità, adottato in centinaia di migliaia di realtà, grandi e piccole, pubbliche e private.
La sua popolarità si spiega facilmente: ISO 9001 non impone un modello rigido, ma offre un insieme di principi e strumenti che aiutano le organizzazioni a strutturarsi meglio, a migliorare i propri processi e a orientarsi verso la soddisfazione del cliente. I suoi pilastri — il ciclo di Deming (Plan, Do, Check, Act), l’approccio per processi, il coinvolgimento delle persone, l’analisi dei rischi, la centralità della leadership — sono espressione di buon senso gestionale prima ancora che di tecnica normativa.
Eppure, nonostante la sua solidità concettuale e la sua flessibilità operativa, capita spesso che le organizzazioni che hanno ottenuto la certificazione, dopo un primo entusiasmo, comincino a viverla come un peso. Alcune smettono di rinnovarla, altre la mantengono solo formalmente, senza più curarne l’efficacia concreta. E, in modo ancor più insidioso, molte realtà smettono semplicemente di far vivere il sistema qualità nella quotidianità, trasformandolo in un insieme di scartoffie inutili.
Perché accade tutto questo? Perché uno strumento nato per aiutare a migliorare finisce col trasformarsi, in certe situazioni, in una fonte di rigidità o in uno sterile rituale?
È da ritenere che la causa principale di questa disaffezione non risieda, come troppo spesso si sente dire, nella norma in sé, né nel consulente, né nell’ente certificatore. È più semplice e più profonda allo stesso tempo: è una questione di dosaggio.
Come una medicina, anche un sistema di gestione della qualità può fare bene o può fare male, a seconda di quanto e come lo si applica. E come per ogni cura, è la dose che fa la medicina, ed è sempre la dose che fa il veleno. Esagerare con gli strumenti della qualità può rendere il sistema pesante, faticoso, respingente. Ma anche sotto-dosarli può renderlo inutile, invisibile, inefficace. In entrambi i casi il risultato è lo stesso: il sistema non serve più allo scopo, e finisce per essere abbandonato.
Una delle derive più frequenti è quella del sistema eccessivamente burocratizzato. Succede spesso quando, nel tentativo di “coprire tutto”, si cominciano a produrre documenti su documenti:
- procedure per ogni attività, anche la più banale;
- istruzioni operative lunghissime, scritte in linguaggio tecnico, difficili da reperire, da leggere e da ricordare;
- moduli, check-list, registrazioni che finiscono per moltiplicarsi senza una reale funzione di tutela dal rischio.
In queste situazioni, il personale comincia a percepire il sistema qualità come una camicia di forza, come un insieme di incombenze inutili, lontano dalla realtà del lavoro quotidiano. I documenti esistono, ma non vengono consultati. I controlli vengono fatti “a memoria”, senza usare gli strumenti predisposti. La carta si accumula, ma non guida le azioni.
Il paradosso è che un sistema nato per semplificare e rendere ripetibile il lavoro finisce per complicarlo. E a quel punto è comprensibile che le persone si disinnamorino del progetto, e che la direzione inizi a domandarsi se “ne valga la pena”.
All’estremo opposto c’è chi applica la ISO 9001 in modo talmente superficiale da renderla invisibile. È il caso di quelle organizzazioni che ottengono la certificazione come se fosse un bollino da esibire, ma poi smettono di nutrire il sistema. Le manifestazioni tipiche di questo approccio sono:
- formazione e addestramento sull'uso del sistema carenti;
- audit interni saltuari o assenti, spesso soltanto formalizzati ad uso degli auditor esterni, mentre invece si tratta del più straordinario strumento che la 9001 mette in campo;
- analisi di contesto e valutazione dei rischi ferme all’anno della prima certificazione, senza alcun aggiornamento strategico. La Direzione fa strategia ma la tiene nella sua testa;
- indicatori di performance assenti o non misurati. Anche se la direzione afferma di avere obiettivi ambiziosi, non sono misurabili né tempificati;
- non conformità che non vengono segnalate, perché “non è grave” o “non vogliamo fare brutte figure”;
- registrazioni della qualità che nessuno usa, o peggio, che si compilano “a posteriori” solo per far vedere che esistono.
Anche in questo caso, il sistema perde la sua funzione. Non supporta il miglioramento, non stimola il confronto, non serve a governare i processi. È un sistema inerte, che nessuno sente proprio, e che finisce per essere dismesso non appena possibile.
C’è un aspetto culturale che merita una riflessione: quando il sistema qualità fallisce, è raro che la Direzione dell'organizzazione si assuma la responsabilità. Più spesso, si cercano cause esterne:
- “il consulente ha fatto un sistema complicato”;
- “il certificatore è troppo fiscale, non capisce la nostra realtà”;
- “la norma non è adatta a noi, funziona solo nelle grandi aziende”.
Ma la verità è che la norma ISO 9001 non impone nulla di rigido. Anzi, lascia ampi margini di personalizzazione. La difficoltà sta proprio nel trovare il giusto equilibrio: quello tra rigore e semplicità, tra controllo e flessibilità, tra formalizzazione e cultura organizzativa.
Il sistema qualità, per funzionare davvero, deve diventare parte integrante della vita dell’organizzazione. Non un progetto a sé stante, ma un modo di lavorare. Non una maratona da correre ogni tanto, ma un allenamento leggero e costante. Nell'organizzazione aziendale, la perseveranza è la chiave del successo.
Quali sono i segnali di un sistema ben dosato?
- Le procedure sono poche, essenziali, scritte in modo comprensibile, e aggiornate con il contributo delle persone che le usano. Sono vissute come una linea vita, non come una camicia di forza.
- Gli audit interni sono frequenti e sono vissuti momenti di confronto utili, non solo controlli.
- La direzione aggiorna regolarmente l’analisi dei rischi e degli stakeholder, perché ne ha bisogno per prendere decisioni.
- Le non conformità non fanno paura: vengono segnalate, analizzate e trasformate in occasioni di miglioramento.
- Gli strumenti della qualità (checklist, indicatori, moduli) non sono un peso, ma un supporto al lavoro quotidiano.
Un sistema così non nasce per caso. Richiede tempo, coinvolgimento, e una cura continua. Ma quando funziona, cambia davvero il modo in cui l’organizzazione lavora e cresce.
In definitiva, la ISO 9001 non è una medicina amara da ingoiare, né una ricetta miracolosa. È uno strumento utile, potente, ma da maneggiare con attenzione. Non serve strafare, non serve ignorare. Serve dosare bene, adattare con intelligenza, e soprattutto far vivere il sistema ogni giorno, con coerenza e partecipazione.
Solo così il sistema qualità smette di essere un vincolo e diventa un alleato. E solo così la qualità, da parola vuota o da obbligo normativo, diventa davvero cultura organizzativa.
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