Negli studi professionali i clienti sono come gli assegni: non tutti sono trasferibili
di Michele D’Agnolo
Quando si parla di acquisizioni, fusioni, passaggi generazionali o cessioni parziali di uno studio professionale, uno degli aspetti più complessi – e spesso sottovalutati – riguarda la reale trasferibilità dei rapporti con i clienti. Ci si concentra, comprensibilmente, sui numeri: fatturato, margini, “ricavi” medi per cliente, costi fissi, durata degli incarichi. Ma si rischia di trascurare un elemento che può ribaltare ogni valutazione economica: la relazione personale che lega alcuni clienti al singolo professionista, piuttosto che allo studio nel suo complesso.
È un tema tanto delicato quanto concreto. Proprio come accade con gli assegni bancari, non tutti i clienti sono trasferibili. Alcuni lo sono pienamente, altri solo parzialmente, altri proprio per nulla. Ed è compito del consulente – o del professionista che affronta un’operazione straordinaria – distinguere con lucidità e onestà queste categorie, consapevole che la qualità e la profondità della relazione influiscono direttamente sulla sostenibilità e sulla continuità del valore economico dell’operazione.
Sulla carta, è lo studio il titolare del contratto o dell’accordo di incarico. Ma nella realtà quotidiana, soprattutto negli studi professionali di piccola e media dimensione, è spesso il singolo professionista il vero punto di riferimento del cliente. Succede in molti ambiti, dalla consulenza fiscale a quella societaria, dalla pianificazione patrimoniale alla gestione del personale, fino agli incarichi fiduciari o giudiziari. La firma del mandato è intestata allo studio, ma la fiducia – quella vera – è intestata a una persona: al “Dottore”, alla “Ragioniera”, all’Avvocato “di famiglia”.
In particolare, ci sono clienti il cui rapporto con lo studio è nato da un legame personale, un’amicizia, una conoscenza di vecchia data. A volte si tratta di relazioni che sono cresciute al di fuori della sfera professionale, magari condividendo passioni comuni, esperienze associative, vincoli familiari o semplicemente anni di frequentazioni consolidate. In questi casi, anche se il servizio è impeccabile, è la relazione a fare la differenza. Il cliente non si affida allo studio perché ne ha comparato il valore con quello di altri, ma perché ha scelto – e continua a scegliere – una persona di fiducia.
Ci sono poi casi in cui la non trasferibilità è strutturale: parliamo, ad esempio, di incarichi giudiziari o societari. Il curatore fallimentare, il CTU, il revisore o il sindaco nominato dal cliente o da un ente esterno sono generalmente incarichi conferiti per merito, fiducia e reputazione personale. Rapporti di questo tipo non sono cedibili, né delegabili. E questo vale anche, con diverse sfumature, per molte nomine nei consigli di amministrazione, nei collegi sindacali o in altri incarichi tecnici.
Se uno studio basa una parte importante del proprio fatturato su incarichi di questo tipo, occorre che chi subentra ne sia perfettamente consapevole: quelle entrate non sono garantite, non sono automaticamente replicabili, e in molti casi sono destinati a svanire con l’uscita del professionista che li ha ricevuti.
Ma anche quando i clienti sono formalmente trasferibili, la questione non è chiusa. La vera domanda da porsi è: come reagiranno i clienti al cambiamento? La risposta dipende in larga parte da come viene gestita la transizione. E qui entra in gioco una variabile cruciale: il comportamento del professionista uscente.
Se il passaggio avviene in modo ordinato, trasparente, e con la piena collaborazione del professionista che lascia lo studio o cede parte del portafoglio, allora le probabilità di continuità sono elevate. Il cliente si sentirà rassicurato, sarà introdotto con fiducia ai nuovi interlocutori, e avrà tempo per familiarizzare con il nuovo assetto.
Ma se il professionista si defila bruscamente, o peggio – mostra disaccordo o freddezza verso il nuovo corso – allora anche i clienti più stabili potrebbero decidere di rimettere in discussione la loro permanenza. La fiducia è un capitale fragile, e il modo in cui viene accompagnato il cambiamento può determinarne la tenuta o la dissoluzione.
Non solo: anche i collaboratori interni, spesso detentori di relazioni quotidiane con i clienti, possono giocare un ruolo decisivo. In molti studi, la vera continuità del servizio è garantita da figure senior che, pur non essendo titolari o soci, godono di un altissimo grado di fiducia da parte della clientela. La loro permanenza, il loro coinvolgimento e la loro motivazione nel progetto di transizione possono fare la differenza tra una perdita e una conferma.
Tutto ciò ha una ricaduta concreta sul piano economico. In fase di cessione o acquisizione di uno studio professionale, la valutazione non può basarsi unicamente su dati contabili. Occorre introdurre una riflessione più approfondita, quasi sociologica, sulla natura dei rapporti professionali in essere.
Gli incarichi non trasferibili, le relazioni personali fortemente radicate e la dipendenza del portafoglio da figure chiave diminuiscono il grado di trasferibilità del valore. In questi casi, è prassi inserire meccanismi di salvaguardia, come clausole di earn-out (pagamenti dilazionati legati alla conferma effettiva del portafoglio clienti) o periodi di affiancamento obbligatorio da parte del professionista uscente.
Di contro, uno studio che ha investito nel rafforzamento della struttura, nella standardizzazione dei processi, nella condivisione dei clienti fra più professionisti, nella costruzione di un’identità di brand riconoscibile e indipendente dalla singola persona, sarà valutato con un moltiplicatore più alto, perché offre una garanzia di continuità e replicabilità dei risultati.
In sostanza, le operazioni straordinarie negli studi professionali non sono semplici operazioni economiche. Sono processi complessi, dove i numeri devono dialogare con le relazioni umane, con le dinamiche di fiducia, con la psicologia dei clienti e dei professionisti. Per questo motivo, la valutazione della trasferibilità dei clienti deve essere parte integrante della due diligence.
Come gli assegni, alcuni clienti sono "non trasferibili". Non per cattiva volontà, ma per natura. Il loro legame con il professionista è talmente personale, talmente unico, che nessuna firma in calce a un contratto potrà mai garantirne la permanenza. E allora, anziché ignorare questa verità scomoda, è meglio affrontarla con lucidità e intelligenza: per costruire operazioni più solide, transizioni più morbide, e valorizzazioni più eque.