Moneta e potere: chi deciderà l’esito dello scontro tra banche centrali e stablecoin
di Alberto Ferrari
C’è un nuovo fronte nelle grandi guerre del nostro tempo. Dopo quelle commerciali, monetarie, tecnologiche e perfino militari, la battaglia si è spostata sull’infrastruttura del denaro. Non si tratta più solo di chi controlla la moneta, ma di chi ha il potere di emetterla, distribuirla e farla circolare in forma digitale. In gioco c’è l’egemonia sui circuiti economici globali, un nuovo campo di potere ancora in piena definizione. Non si parla più di criptovalute nel senso anarchico e decentralizzato delle origini, ma di architetture digitali, capaci di inglobare fiducia, controllo e potere in un unico standard. La guerra valutaria si è spostata sul digitale, e oggi il terreno di scontro si chiama stablecoin.
L’America è in netto vantaggio. Non solo perché USDT e USDC – ancorate al dollaro – sono diventate strumenti globali di pagamento, ma perché la politica americana, con l’amministrazione Trump, ha abbracciato un’ideologia di signoraggio privato travestita da innovazione. La stablecoin “USD₁” è molto più di un prodotto finanziario: è un simbolo. La famiglia Trump, direttamente coinvolta nel progetto, ha colto l’opportunità di offrire al mondo una versione privatizzata del dollaro. Conflitto d’interessi? Forse. O forse solo l’ennesima forma di rendita basata sulla fiducia che il mondo ripone nella valuta americana. Una fiducia che non è costruita dalla tecnologia, ma dalla storia, dalla geopolitica e dalla forza economica di un Paese che ha fatto della sua moneta uno strumento di dominio.
L’Europa e la Cina stanno cercando di rispondere. Da un lato, con le CBDC: euro digitale, yuan digitale. Dall’altro, con iniziative consortili come quelle di banche europee per l’emissione di stablecoin ancorate all’euro. Ma è una corsa in salita. L’Europa soffre l’assenza di un sistema di pagamento digitale autonomo: i principali circuiti – Visa, Mastercard, PayPal – sono americani. E ora anche le stablecoin, che rischiano di diventare metodi di pagamento alternativi e globali, sono quasi tutte legate al dollaro. Il rischio non è solo quello di perdere la propria unità di conto, ma di affidare a soggetti privati esterni – spesso mossi da finalità speculative – un’infrastruttura che rappresenta al tempo stesso un sistema di pagamento e una forma di signoraggio. In Cina il discorso è opposto: controllo totale. Lo yuan digitale non nasce da un mercato, ma da uno Stato. Serve a governare, monitorare e mantenere una centralità del potere nella transizione verso l’economia digitale.
Chi vincerà? Forse è troppo presto per dirlo. Ma è chiaro il nodo cruciale: perché la gente dovrebbe usare una moneta digitale? Perché preferire una stablecoin privata a una valuta ufficiale digitalizzata? O viceversa? Le risposte variano a seconda di chi sei e dove vivi. In Africa, in Asia, in America Latina – in tutti quei contesti dove l’accesso ai servizi finanziari è scarso, costoso o poco affidabile – le stablecoin rappresentano un’alternativa reale. Permettono di ricevere denaro, fare pagamenti, proteggere il valore in un contesto di inflazione cronica, il tutto con uno smartphone.
Ma in Europa o in Cina? Lì la questione è meno di bisogno e più di efficienza. Le stablecoin possono offrire velocità, programmabilità, accesso a mercati globali, disintermediazione. Tuttavia, restano strumenti privati, costruiti su logiche di profitto e governance aziendale. L’euro digitale potrebbe essere la risposta pubblica, a patto che sia competitivo, accessibile e interoperabile. Per ora, è un progetto. Le stablecoin, invece, esistono già. E mentre si discute su cosa sia giusto o sicuro, la gente inizia a usarle.
Come è accaduto con PayPal o con i wallet digitali integrati nei social network e negli e-commerce, anche le stablecoin stanno cercando di imporsi come standard de facto. E con i principali marketplace e piattaforme digitali globali – da Amazon a Instagram, da Meta a Temu – nelle mani di colossi americani o cinesi, la possibilità che si impongano mezzi di pagamento “embedded” in logiche proprietarie è concreta. Chi controlla il sistema dei pagamenti, controlla il flusso del valore. E chi lo controlla, guida il mercato.
E poi c’è l’altro fronte: quello delle aziende. Sempre più imprese adottano stablecoin nei pagamenti internazionali, nei sistemi di gestione della liquidità, nella remunerazione di partner o collaboratori. Per loro la stablecoin è meno burocrazia, più velocità, un linguaggio digitale che funziona bene con le logiche della blockchain. E oggi si parla già del prossimo passo: la tokenizzazione degli asset reali. Obbligazioni, azioni, crediti commerciali che diventano token negoziabili in stablecoin. Un nuovo mercato, costruito sulla fiducia digitale, che supera il concetto stesso di conto bancario.
La guerra valutaria del futuro non sarà fatta di cambi fissi o flessibili. Sarà una guerra di piattaforme, di infrastrutture, di fiducia nel codice e di convenienza nei protocolli. Non basterà più stampare moneta: bisognerà convincere le persone a usarla. E forse, proprio per questo, le monete digitali – stablecoin o CBDC – saranno uno degli strumenti più potenti per ridisegnare gli equilibri geopolitici del prossimo decennio.


