Moglie e marito insieme nello studio professionale (più altri familiari): è una buona idea?
di Mario Alberto Catarozzo
Quando entriamo in uno studio professionale italiano – sia esso legale, commercialista o di consulenza del lavoro – non è raro imbattersi in realtà familiari: marito e moglie che lavorano insieme, figli che (un pò meno ultimamente) seguono le orme dei genitori, fratelli e sorelle che condividono la professione. Un fenomeno tipicamente italiano, che affonda le radici nella tradizione dell’impresa familiare. Ma è davvero una buona idea mischiare lavoro e affetti? Come si gestiscono le inevitabili dinamiche che ne derivano? Proviamo ad analizzare pro e contro di questa diffusa prassi professionale del nostro Paese.
I vantaggi della famiglia in uno studio professionale
È indubbio che questa scelta porti con sé alcuni benefici e vantaggi. Proviamo ad elencare almeno i principali:
· fiducia reciproca: con i familiari si condivide un capitale di fiducia costruito negli anni, essenziale quando si trattano informazioni riservate e si gestiscono risorse economiche;
· continuità generazionale: passare il testimone ai figli garantisce continuità allo studio e permette di tramandare non solo competenze tecniche, ma anche relazioni con i clienti e valori professionali consolidati;
· flessibilità organizzativa: la gestione dei tempi di lavoro può risultare più elastica, facilitando la conciliazione tra vita professionale e familiare, specie in presenza di figli piccoli o genitori anziani;
· visione condivisa: condividere obiettivi, valori e stile professionale diventa più naturale quando si è uniti anche da legami affettivi, creando coesione e allineamento.
E fin qui, va tutto bene. Ora vediamo il rovescio della medaglia…
Le criticità da non sottovalutare
Come tutte le scelte hanno pro e contro, anche questa porta con sé rischi e criticità. Anche qui, proviamo a riassumerle per sommi capi:
· sovrapposizione dei ruoli: come si fa a essere marito/moglie, genitore/figlio e contemporaneamente titolare/collaboratore? La gestione dei diversi “cappelli” può risultare complessa e creare tensioni (spesso);
· gestione dei conflitti: in caso di disaccordo professionale, il rischio di trasferirlo nella dimensione privata è elevato, con potenziali ripercussioni sulla serenità familiare. Si porta, in sostanza, il lavoro a casa e viceversa;
· autonomia limitata: per i figli o il coniuge può essere difficile sviluppare un’identità professionale distinta e indipendente, vivendo all’ombra della figura più autorevole dello studio. Ciò porta stress, frustrazione e, a volte, dissidi veri e propri;
· cultura organizzativa chiusa: uno studio a conduzione familiare tende a mantenere prassi consolidate, risultando meno aperto all’innovazione e al cambiamento. Insomma, “se la cantano e se la suonano” in famiglia e se l’innovazione viene dai figli spesso è bloccata sul nascere dalla frase “si è sempre fatto così…”;
· rapporti con i collaboratori esterni: chi non fa parte della famiglia può sentirsi escluso da dinamiche decisionali, percependo un “soffitto di cristallo” che limita le possibilità di crescita professionale. D’altro canto, è difficile non far percepire due pesi e due misure e a volte per evitare ciò si va addirittura all’estremo opposto, dove i familiari sono quelli peggio trattati.
Come fare funzionare lo studio familiare
Se volete intraprendere o continuare questa strada (ma siete proprio sicuri?!), alcuni accorgimenti possono rivelarsi determinanti:
1. definite con chiarezza ruoli e responsabilità: stabilire chi fa cosa e con quale autonomia aiuta a prevenire sovrapposizioni e conflitti;
2. separate tempi e spazi: sembra banale, ma avere momenti in cui non si parla di lavoro è fondamentale per la salute delle relazioni familiari, così come non portare in ufficio i problemi di casa;
3. valorizzate le competenze individuali: riconoscere e sfruttare le diverse attitudini dei familiari permette di creare sinergie anziché competizione. Per questo bisogna avere la volontà di guardare oltre i cliché e le abitudini;
4. apritevi a contributi esterni: collaboratori, consulenti e partner possono portare aria fresca e nuove prospettive che arricchiscono lo studio;
5. pianificate la successione: il passaggio generazionale va preparato per tempo, anche attraverso esperienze esterne dei giovani prima del loro ingresso definitivo nello studio. Un bel decennio trascorso dai figli presso altre realtà gioverà non poco allo studio familiare quando saranno pronti ad entrare e prendere il testimone.
La vera sfida: professionalizzare i rapporti
Al di là delle facili battute ironiche, il mix di affetti e lavoro potrebbe in molti casi risultare vincente, ma stiamo giocando sul filo di lana, per cui bisogna saper gestire bene la situazione sin dall’inizio. La sfida più grande sta nella capacità di professionalizzare le relazioni, distinguendo il piano affettivo da quello lavorativo. Chi riesce in questo difficile esercizio può godere del meglio dei due mondi: la solidità dei legami familiari e l’efficienza di un’organizzazione professionale. Nel complesso, non esiste una risposta univoca alla domanda se sia opportuno lavorare con il coniuge o i familiari. Dipende dalle persone coinvolte, dalla loro capacità di gestire la complessità e dalla consapevolezza con cui affrontano questo percorso. Come in molti casi della vita professionale, non è tanto la scelta in sé a determinare il successo, quanto la modalità con cui la si realizza.
Mai come oggi è importante farsi trovare preparati su questi argomenti per non commettere errori che possono compromettere lavoro e famiglia.