Il lavoro in azienda è quell’ingranaggio dinamico che trasforma competenze, idee e collaborazione in valore concreto. È un equilibrio tra creatività e metodo, tra obiettivi individuali e visione collettiva, dove ogni ruolo contribuisce a un ecosistema produttivo in continua evoluzione.
Proprio il ruolo, ed anzi il rispetto del ruolo, è talvolta messo in discussione – e non per ragioni legate a negligenza o scarsa preparazione – ma per l'instaurazione di un clima non propriamente consono al benessere psicofisico, alla miglior performance e al successo aziendale.
Intendiamo qui riferirci al cosiddetto mobbing silenzioso o mobbing bianco, che si differenzia dal mobbing tradizionale per la sua natura più subdola, e altrettanto nociva. Se - infatti - il mobbing classico si manifesta con gesti apertamente ostili e ripetuti, il mobbing bianco opera più silenziosamente, privando il lavoratore di incarichi, riducendo progressivamente le sue responsabilità o lasciandolo in uno stato di inattività forzata. Si pensi ad esempio a chi, immotivatamente, non viene più convocato alla riunioni, a chi non viene informato delle prossime decisioni aziendali o delle opportunità di aggiornamento professionale, oppure a chi viene privato di progetti o del proprio team di lavoro.
Tale forma di vessazione è deplorevole e insidiosa perché spesso si nasconde dietro scelte organizzative o strategie aziendali apparentemente legittime. Tuttavia, l’effetto finale è lo stesso: il dipendente viene via via estromesso dall'ambiente, alimentando frustrazione e senso di inutilità.
Le conseguenze psicologiche possono essere pesanti, portando a un senso di alienazione, ansia e perdita di motivazione. Ma anche per l'azienda lo “strascico” non manca. Quali sono i rischi economici del mobbing bianco? Quanto pesa il mancato rispetto della dignità del lavoratore e dei suoi diritti, sanciti da Costituzione, leggi e contratti collettivi?
Ebbene, un'azienda che permette il radicarsi del mobbing silenzioso si espone a significative perdite. L'effetto boomerang è quindi dietro l'angolo. Tra le singole voci di costo che andranno a gravare sul bilancio aziendale, troviamo ad esempio l'aumento del turnover con gli annessi oneri per la sostituzione (selezione, formazione e inserimento di nuovi lavoratori), perché - come è ovvio - un ambiente lavorativo tossico spinge i più qualificati a cercare opportunità altrove.
Grazie a studi condotti da una rinomata associazione come la Society for Human Resource Management (SHRM), si stima che il costo del turnover - per i ruoli di livello medio - può essere pari al 50-60 per cento dello stipendio annuo, mentre per i ruoli senior o altamente qualificati può salire anche al 200 per cento. Sono studi degni di nota perché considerano una pluralità di fattori tra cui le spese per il reclutamento (ad esempio utilizzo di agenzie di selezione), quelle per la formazione (il cd. onboarding) e quelle per la perdita di produttività, ossia il tempo necessario per il nuovo assunto a integrarsi nel team e operare a pieno regime. E non meno rilevante è l'impatto sulle performance aziendali dovuto al sovraccarico di lavoro per i colleghi.
Tra i rischi economici troviamo anche il calo della performance individuale, perché chi è privato di compiti non solo soffre psicologicamente, ma smette di contribuire attivamente al business e alla produttività complessiva, con una riduzione dell’efficienza e incremento del rischio di errori operativi.
Non solo. Se l'ambiente lavorativo causa ansia o altri disturbi psicologici, i dipendenti hanno il diritto di ottenere un certificato medico che giustifichi la loro assenza dall'ufficio per motivi di salute. Non a caso, per Inail lo stress da lavoro contribuisce all'insorgenza di patologie qualificate come malattia professionale, con costi diretti e indiretti gravanti sull’azienda.
E, in un’era in cui la trasparenza aziendale è cruciale - si pensi alla finalità del Dlgs. 104/2022 che recepisce la direttiva UE 1152/2019 - i casi di mobbing silenzioso possono trasformarsi in vere e proprie crisi di immagine e in danno reputazionale. Recensioni negative su piattaforme di employer branding o cause legali pubblicizzate allontaneranno talenti e investitori.
Ci sono poi i rischi legali gravanti sull’azienda che finisce nel mirino della giustizia. In Italia, il mobbing (silenzioso) non è ancora regolato da una norma ad hoc, ma è antitetico a varie disposizioni legislative e pronunce giurisprudenziali. Ad esempio l’articolo 2087 c.c. impone al datore di lavoro l'obbligo di adottare tutte le misure necessarie per tutelare integrità fisica e personalità morale dei dipendenti, mentre il Dlgs. n. 81/2008 impone alle aziende di prevenire condizioni che possano arrecare danno psicologico ai dipendenti. E, ancora, ai sensi dell'articolo 2043 c.c., la vittima di mobbing può richiedere una riparazione per i danni subiti, in quanto il comportamento vessatorio può essere considerato un illecito civile (risarcimento per fatto illecito per responsabilità aquiliana).
Oltre alle possibili sanzioni da parte dell'Ispettorato del lavoro, la giurisprudenza della Cassazione ha così condannato tali pratiche: ad esempio con l'ordinanza n. 32982/2019 si è rimarcato il principio per cui l'azienda viola l’articolo 2103 c.c. non soltanto quando conferisce al dipendente mansioni inferiori o dequalificanti, ma anche quando lo tiene in uno stato di forzata inattività, emarginato e senza assegnargli alcuna mansione. È il citato mobbing bianco.
Sentenze simili hanno riconosciuto danni patrimoniali, biologici ed esistenziali a carico del datore di lavoro responsabile, anche per cifre a cinque zeri, ma il ristoro economico sarà quantificato tenendo conto anche della lesione alla professionalità, immagine e dignità del dipendente. Quest'ultimo, inoltre, subisce una perdita economica potenziale legata alla mancata progressione di carriera.
Con una recente sentenza, la n. 32770/2024, la terza sezione penale della Suprema Corte ha ribadito che le condotte che dal punto di vista civilistico integrano il fenomeno del mobbing, sono riconducibili - dal lato penale - allo stalking (atti persecutori di cui all'articolo 612 bis c.p.), ma potenzialmente anche al reato di lesioni personali colpose (articolo 590 c.p.).
L'azienda ha quindi una responsabilità non solo contrattuale, ma anche etica nei confronti del personale. Garantire mansioni adeguate, che rispecchino la professionalità maturata, non è solo un obbligo legale, ma altresì un dovere morale che contribuisce al benessere dell’individuo e del gruppo.
Concludendo, non reprimere il mobbing silenzioso è una scelta miope e pericolosa, perché le conseguenze economiche e legali non solo minano la stabilità finanziaria dell’impresa, ma compromettono anche ambiente e reputazione aziendale. La prevenzione passa da politiche di inclusione, formazione per i manager e sistemi di segnalazione interni efficaci. Ignorare il problema significa esporsi a rischi inaccettabili, e un’azienda lungimirante non può permetterselo.