Milano–Roma, binario 12. Il viaggio in cui abbiamo cancellato un socio (legalmente)
di Gianluca Iannetti
Un pomeriggio autunnale di novembre, a Milano, non ha bisogno di molte spiegazioni.
Il cielo è basso, i palazzi sembrano più grigi del solito e l’aria in piazza Duca d’Aosta taglia il viso appena scendi dal taxi.
Pago, scendo, chiudo la portiera e mi ritrovo davanti alla grande facciata della stazione Centrale. La solita scena: valigie che corrono, gente che sale le scale con il telefono in mano, annunci in sottofondo. Controllo lo schermo delle partenze: Frecciarossa per Roma, binario 12.
Mentre attraversavo la galleria, tra il profumo di caffè e i neon dei bar, lo vedo arrivare. Abito blu, cappotto cammello, zaino in pelle scura portato con naturalezza. Cuffie sulle orecchie, passo veloce, l’aria di chi ha una riunione in ogni città e un file aperto in ogni momento.
Ci salutiamo con una pacca sulla spalla. Togliamo entrambi le cuffie, come se fosse un piccolo rituale di ingresso nel “mondo fisico”. Ridiamo subito di calcio: lui milanista convinto, io interista in modalità “ti ricordo che siamo primi in campionato e in Champions”. Si schermisce, fa una battuta sulla classifica che “a marzo conta davvero”, ci prendiamo due minuti per sfotterci, come si fa tra persone che lavorano insieme da tempo ma non hanno perso il gusto per le cose leggere.
Poi lo sguardo cambia. «Dobbiamo parlare del mio futuro socio di minoranza» dice, quasi buttandola lì.
Saliamo sul treno.
Il momento in cui la domanda arriva
Il Frecciarossa parte puntuale, attraversa Rogoredo, scivola fuori da Milano. Nei primi minuti si parla di tutto: piano industriale, numeri del trimestre, un accenno agli investimenti futuri. Fuori scorrono campi, capannoni, qualche cascina. Dentro, il solito mix di laptop aperti e e-mail da smaltire.
A un certo punto lui si ferma, mi guarda, e fa quella domanda.
«Vorrei far entrare un socio… ma non per sempre. Come faccio a programmare anche l’uscita?»
Lo guardo in silenzio per qualche secondo. È una domanda semplice, quasi banale nella forma. Eppure è la stessa che sento sempre più spesso nelle Srl e nelle Spa “serie”: aziende da 5, 20, 80 milioni di fatturato, che crescono, evolvono, cambiano pelle. E che non possono più permettersi soci “a vita”, inchiodati in uno statuto scritto quando il mondo era un altro.
Gli dico che no, non è fantascienza. «Hai letto qualche articolo sul tema?» gli chiedo. Scuote la testa. «Allora abbiamo due ore e mezza ben spese» gli rispondo, aprendo il laptop.
Le quote che si auto-cancellano
Tra Piacenza e Bologna, mentre il treno aumenta la velocità e la luce cambia lentamente, gli racconto di quelle che chiamo, scherzando, “le quote che si auto-cancellano”.
Gli spiego che nel nostro ordinamento esiste qualcosa di molto concreto: le partecipazioni auto-estinguibili. Azioni o quote che si spengono da sole allo scadere di un termine o al verificarsi di una condizione. E che in quel momento il socio smette di essere socio, punto. Con o senza diritto a una liquidazione, a seconda di come è scritto lo statuto.
Non è una follia teorica: Assonime, con “Il Caso n. 6/2023”, ha riconosciuto la piena legittimità di queste clausole. E le massime notarili – tra cui quella del Consiglio Notarile di Milano – hanno iniziato a darle forma. Non siamo in un laboratorio di diritto comparato: siamo in Italia, oggi.
Dal punto di vista sistematico, la costruzione sta dentro i binari degli articoli 2468 c.c. (diritti particolari nelle Srl) e 1322 c.c. sulla meritevolezza degli interessi, a patto di evitare usi elusivi e architetture che nella sostanza simulino un recesso mascherato: è esattamente il perimetro entro cui si sta muovendo la prassi notarile più avveduta.
Lui mi ascolta, appoggiato allo schienale, guardando un attimo fuori dal finestrino.
Si vede la campagna scorrere, i tralicci, qualche linea di alberi arancioni e marroni.
«Quindi posso scrivere in statuto che un socio entra, partecipa a un progetto, e poi a una certa data… sparisce?» «Sì» gli rispondo. «Se strutturi bene la clausola, sì. E senza dover invocare recesso o riscatto ogni volta.»
Soci a tempo determinato
Poco prima di Bologna, il discorso si fa più concreto. Gli dico che la grande novità non è solo tecnica, è culturale: è l’idea del socio “a tempo determinato”.
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