La parola “memoria” è riconducibile ad una svariata gamma di ambiti, in ognuno dei quali ha la caratteristica di assumere un ruolo fondamentale.
Dalla “memoria” di stampa e la “memoria” hardware o software, in campo tecnologico, alla “memoria” difensiva in giurisprudenza, passando al diritto/dovere alla “memoria” come rappresentazione di uno dei diritti della persona, o in riferimento alle proprie “memorie” in letteratura; fino a giungere alla “memoria” del cervello umano, plausibile fonte di ispirazione all’uso del termine nei diversi settori.
Ma qual è l’origine ed il significato della parola? Etimologicamente, ci dobbiamo ricondurre al latino memorĭa, derivato da mĕmor-ŏris “memore”.
In psicologia, la definizione di “memoria” riguarda il processo di codifica, immagazzinamento, consolidamento e recupero delle informazioni e delle esperienze originate dall’ambiente e dall’attività di pensiero. Tutto ciò si riallaccia alla capacità dell’individuo di conservare questi dati del vissuto pregresso in modo da servirsene per affrontare al meglio il percorso di vita presente e futuro. Se ne deduce che la “memoria” non rappresenti semplicemente un “deposito” di ricordi, ma qualcosa di più complesso, in cui l’ingegno e le potenzialità personali permetterebbero una ricostruzione della stessa, utile a soddisfare le esigenze giornaliere e ad affrontare e risolvere le problematiche incontrate in tale contesto.
Intuitivamente, le facoltà mentali atte a conservare e richiamare alla coscienza nozioni, esperienze, idee ed immagini del passato, avrebbero quindi un’importanza rilevante in tutte le attività connesse alla quotidianità.
In questo senso, la perdita di “memoria” causata da traumi o malattie degenerative, che provocano un malfunzionamento cerebrale, potrebbe avere un considerevole impatto nella vita del malato ma anche della sua famiglia. In particolare, disturbi non risolvibili in cui si assiste ad un graduale deterioramento della funzione mentale, come la demenza e l’Alzheimer, determinerebbero nella persona un declino progressivo in grado di cancellare dalla “memoria” interi eventi e, nel peggiore dei casi, di non riconoscere nemmeno i propri cari.
Con la perdita della “memoria” individuale verrebbe meno anche la capacità di rendere prezioso un particolare attimo da rivivere attraverso il ricordo; o l’emozione che si lega a un volto o a un nome, richiamato dal passato e ancora volutamente presente; con lei si perderebbero non solo conoscenze e abilità intellettive, ma anche gli affetti di un’intera esistenza. Non ultimo, il dolore involontariamente inferto ai propri familiari, dato dalla mancanza del loro ricordo, contribuirebbe ad appesantire le già complicate dinamiche in seno all’intera famiglia.
Partendo quindi dal presupposto che la nostra “memoria” rappresenta in toto ciò che siamo, se ne deduce che riuscire a preservare il proprio “bagaglio di ricordi”, da eventuali danni, dovrebbe risultare naturale.
Non appare scontato, quindi, affermare che una sana ed equilibrata alimentazione, adeguato esercizio fisico e attività stimolanti dal punto di vista mentale, contribuirebbero a mantenere una buona salute cerebrale e un corretto funzionamento in ambito mnemonico.
Inoltre, arginare il rischio di devastanti malattie degenerative della “memoria” ridurrebbe il grave impatto sociale soprattutto in termini di sofferenza e disorientamento dei malati e dei loro cari.