Magic beyond words: insidie ed opportunità per le Sezioni Unite nella decisione sul peso del giudicato penale nell’accertamento tributario
di Alex Ingrassia
Appena tuonò, piovve.
La sezione tributaria della Suprema Corte ha chiesto alla Prima Presidente (ord. 5714/2025) di rimettere alle Sezioni Unite due questioni cruciali nell’interpretazione dell’articolo 21-bis Dlgs. 74/2000, la famigerata norma per cui:
“La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi”.
Una previsione che più chiara non potrebbe essere e che, come tale, è stata inizialmente interpretata dal Giudice di legittimità (cfr. Cass. civ. 30814/2024; Cass. civ. 23570/2024, Cass. civ. 21584/2024, Cass. civ. 23609/2024; da ultimo, v. ancora Cass. civ. 1021/2025): se all’esito del dibattimento penale il fatto naturalistico contestato non sussiste, questa conclusione diviene insuperabile in sede tributaria. Così, se nel processo criminale non si è pervenuti alla prova oltre ogni ragionevole dubbio che l’operazione dedotta in fattura sia oggettivamente, soggettivamente o giuridicamente inesistente, l’operazione stessa è da considerare nel processo tributario come lecita e realmente avvenuta tra le parti indicate nel documento fiscale (per tutte, la puntuale Cass. civ., 30814/2024).
La tempesta si è abbattuta sul mare piatto a partire dalla sentenza 3800 del 2025, che ha notevolmente ridotto la portata innovativa dell’articolo 21-bis, operando su due profili:
(i) il giudicato penale incide solo sulle sanzioni e non sull’accertamento del tributo, che resta di esclusiva competenza delle Corti di Giustizia tributarie;
(ii) intanto è vincolante l’esito assolutorio, in quanto sia stata emessa sentenza pienamente liberatoria e non ai sensi del capoverso dell’articolo 530 c.p.p., nel qual caso non vi sarebbe un pieno accertamento dell’innocenza, ma solo – se così si vuol dire! – una prova della colpevolezza “mancante, insufficiente o carente”.
Proprio tali due aspetti sono posti all’attenzione del massimo consesso del Giudice di legittimità, ovvero l’efficacia dell’articolo 21-bis “in relazione al profilo dell’estensione anche al rapporto impositivo” e “in ordine alla applicabilità della nuova disciplina alla ipotesi di assoluzione con la formula prevista dal secondo comma dell’articolo 530 c.p.p.”.
Il punto che risulta interessante affrontare in questa sede non attiene tanto agli argomenti che l’una o l’altra prospettiva interpretativa possono mettere in campo, quanto ai rapporti di potere che si stagliano dietro la questione.
La scelta del legislatore è chiara: l’articolo 21-bis è una norma eccezionale, a sé stante, che impone la prevalenza – solo in bonam partem! – dell’esito del giudizio penale sull’accertamento tributario.
Non è una previsione a tutto campo, ma è, al contrario, molto specifica:
(a) opera solo per alcune formule assolutorie;
(b) non riconosce alcuna efficacia automatica a decisioni diverse da quelle emesse all’esito del dibattimento, lasciando fuori dalla propria portata anche provvedimenti come il decreto di archiviazione, in cui nemmeno l’accusa ha creduto all’esistenza di un reato – nonostante una denuncia da parte dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza – o decisioni di non luogo a procedere e assoluzioni all’esito del giudizio abbreviato – in cui, per un verso e per l’altro, non è servito nemmeno il vaglio dibattimentale per ritenere infondata l’accusa.
A fronte di queste scelte di campo nette, imporre ulteriori limitazioni al portato del giudicato penale, costituirebbe chiaramente una scelta giurisprudenziale, contraria alla voluntas legis e al testo della norma.
Vi è allora da chiedersi quale sia la funzione della norma, per comprendere da dove derivi la tentazione di ridurne la portata applicativa.
La funzione sembra – per così dire – di check and balance tra rami dell’ordinamento: se ricorro al diritto penale con funzione riscossiva, cioè lo rendo il braccio armato dell’accertamento tributario, questa estrema capacità operativa e invasiva dei diritti fondamentali, non può essere senza conseguenze fiscali ove il giudizio criminale nella sua massima espressione (dibattimento) si risolva con un’assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non l’ha commesso.
Se il processo penale è già una pena, ben si comprende che ragioni di equità di sistema abbiano persuaso il legislatore a rinunciare al tributo e alla relativa sanzione, ove la più invasiva e pervasiva forma di accertamento, utilizzata anche per soddisfare la “ragione fiscale”, abbia condotto ad un esito assolutorio o, ancor meglio, di insussistenza del fatto.
Sempre in questa prospettiva, la norma avrebbe, inoltre, una funzione di contro-spinta rispetto al possibile abuso del ricorso al diritto penale per ragioni riscossive, nei casi – tutt’altro che infrequenti nella prassi – in cui l’utilizzo dell’indagine e dei sequestri penali, su questioni spesso assai spinose e incerte sul piano tributario, conduce - pressoché contestualmente – ad un accordo tra contribuente ed erario e ad un’archiviazione dell’indagato persona fisica (e, talvolta dell’ente ex Dlgs. 231/2001).
L’articolo 21-bis potrebbe fungere da monito: attenzione a forzare la mano e a cercare ‘scorciatoie’, perché a certe condizioni un’eventuale assoluzione avrebbe effetti esiziali anche sulla pretesa tributaria in senso stretto.
In questo quadro, se la scelta di check and balance del Legislatore fosse irragionevole, spetterebbe alla Corte costituzionale, eventualmente adita proprio dalle Sezioni unite, una ridefinizione della portata espansiva dell’articolo 21-bis, al limite fino ad annichilirla con una decisione di radicale incostituzionalità.
Al contrario, sentenze ortopediche della Cassazione, fosse anche a Sezioni unite, contro la lettera della legge rischierebbero di alimentare un braccio di ferro istituzionale tra Giudici ordinari e potere legislativo, non nuovo nel sistema penale-tributario – si pensi alla questione della (ir)rilevanza penale dell’elusione fiscale – di cui – oggi più che mai – nessuno dovrebbe sentire il bisogno.