Bancarella di libri usati, Rimini, estate. Prendo un libro che si intitola “Rimini” perché mi sembra una buona ragione. Così scopro Tondelli. E poi, leggendolo negli anni, trovo quella frase che non mi ha più lasciato: “Scrivere significa soprattutto essere sinceri con sé stessi”.
Essere sinceri con sé stessi. Sembra facile, quasi banale. Ma poi ti accorgi che Tondelli e Ghirri – per citare un altro emiliano che sapeva vedere diverso – sono riconoscibili proprio per questo. Una foto di Ghirri la distingui anche senza firma: quella luce, quei colori, quella malinconia geometrica che è solo sua. Tre righe di Tondelli e sai che è lui: quel ritmo, quella sincerità violenta nel raccontarsi.
Entrambi non cercavano l’eccezionale: lo creavano con il loro punto di vista. Non cercavano di essere perfetti, cercavano di essere sé stessi. E questo, con il tempo, li ha resi unici. Inconfondibili.
Oggi quel tipo di riconoscibilità è diventato raro. Quasi sovversivo.
Con l’andar del tempo, in ogni ambito, abbiamo assistito a una sorta di appiattimento. La colpa verrebbe quasi da darla a “ciò che funziona”. Perché se qualcosa funziona, tutti vogliono replicarlo. È la logica del successo applicata su scala industriale: hai trovato la formula? Ripetila. Ha fatto numeri? Copiala. Ha generato engagement? Clonala.
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