Lo schema di atto è già un accertamento: ecco perchè molti contribuenti non fanno le osservazioni nei 60 giorni
di Maurizio Nadalutti
L'articolo 6-bis della L. 212/2000 disciplina il contraddittorio preventivo generalizzato (fatte salve alcune eccezioni: forse un po’ troppe…).
In particolare, per gli atti autonomamente impugnabili, a pena di annullabilità degli stessi, viene previsto che l'amministrazione finanziaria è tenuta preventivamente a comunicare al contribuente uno schema di atto, assegnando un termine non inferiore a sessanta giorni per consentirgli eventuali osservazioni o per chiedere accesso al fascicolo e prendere visione degli atti ivi contenuti.
In alternativa, entro 30 giorni dal ricevimento dello schema di atto, ai sensi dell’articolo 6, comma 2-bis, del Dlgs 218/1997, il contribuente può presentare istanza di accertamento con adesione.
L’intervento del legislatore volto a garantire il contraddittorio preventivo tra Amministrazione finanziaria e contribuente è certamente positivo, ma, in concreto, sta funzionando? Si può davvero parlare di un contraddittorio preventivo?
La realtà è che lo schema di atto – che contiene già nel dettaglio le ragioni della ripresa fiscale e l’ammontare della pretesa impositiva avanzata, con annesso il computo delle sanzioni – viene di fatto considerato dagli uffici finanziari già un provvedimento con natura accertativa. Infatti, si riscontra che, per effetto delle osservazioni del contribuente, difficilmente lo schema di atto risulta oggetto di successive revisioni, se non in minima parte. Di certo, quasi mai la contestazione viene interamente cancellata.
Così che, in molti casi, si assiste pertanto ad un contraddittorio che risulta una mera formalità, non venendo così raggiunto lo scopo prefissato dalla norma. Ne discende che il contraddittorio preventivo successivo allo schema di atto non può dirsi conforme ai principi fissati a livello unionale dalla Corte di Giustizia Europea, già con la sentenza 18 dicembre 2008, Sopropé, causa C-349/07. In particolare, non pare venga soddisfatto il criterio fondamentale dell’effettività.
Il contribuente dovrebbe infatti partecipare alla formazione dell’atto impositivo già nella fase istruttoria, dialogando con il funzionario verificatore in modo da poter far valere pienamente le proprie ragioni, avendo la possibilità di replicare via via alle eccezioni mosse dall’ufficio finanziario.
Ciò però non accade. Dopo il ricevimento dello schema di atto, l’unico modo per promuovere un confronto diretto tra Amministrazione finanziaria e contribuente è la presentazione, da parte di quest’ultimo, di un’istanza di accertamento con adesione. Il procedimento di accertamento con adesione si pone però su un diverso piano rispetto al contraddittorio preventivo, avendo una diversa funzione, trattandosi di un istituto deflattivo del contenzioso, che si concretizza, in molti casi, in una sorta di “contrattazione” della pretesa impositiva con l’ufficio amministrativo. Sicché, anche nel contesto di tale procedimento, a maggior ragione l’ufficio amministrativo assai difficilmente provvede ad annullare completamente la pretesa impositiva avanzata.
Data la situazione descritta, molti contribuenti stanno pensando di non “perdere” troppo tempo (e denaro, dovendo farsi assistere da un professionista) per presentare delle osservazioni allo schema di atto – rischiando anche di anticipare all’ufficio la propria strategia di difesa – ma di aspettare l’accertamento “definitivo” ed eventualmente solo dopo, se sussistono i presupposti, presentare istanza di accertamento con adesione.
In tale ipotesi, va però prestata attenzione ai termini per inoltrare l’istanza. Infatti, ai sensi dell’articolo 6, comma 2-bis, del Dlgs 218/1997, il termine fissato dal legislatore è di (soli) quindici giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento o di rettifica ovvero dell'atto di recupero, che siano stati preceduti dalla comunicazione dello schema di atto.
Occorre inoltre considerare che, nell’ipotesi poc’anzi illustrata, il termine per l'impugnazione dell'atto impositivo innanzi alla Corte di Giustizia tributaria è sospeso per un periodo di (soli) trenta giorni.
I contribuenti che decidono di “bypassare” il contraddittorio preventivo devono pertanto fare i conti con questi termini, tutto sommato “stretti”, stabiliti per il procedimento di accertamento con adesione successivi alla notifica dell’atto impositivo.