Lo scarto delle comunicazioni d’opzione e il Giano bifronte: poteri (e relativi limiti) dell’amministrazione finanziaria
di Annalisa Cazzato
Fin dalla sua introduzione, era ben chiaro a tutti che il cd. Superbonus (alias, la detrazione al 110 per cento dei costi per il risanamento del patrimonio edilizio del Paese prevista dall’articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34) avrebbe presto conquistato – e non per un breve frangente – un posto di primaria importanza nel panorama fiscale nazionale.
Ciò perché gli indizi della “distonia” della misura, rispetto al sistema, erano perfettamente delineati fin dal principio:
(i) il beneficio fiscale era riconosciuto in misura eccedente i costi complessivamente sostenuti;
(ii) il funzionamento delle norme ha sempre imposto una difficile commistione tra questioni strettamente fiscali e un’infinità di condizioni (oltre che di adempimenti) di natura extra tributaria, che rendono estremamente complessa l’attività dell’amministrazione finanziaria, costretta a confrontarsi con temi di certa non-competenza;
(iii) le disposizioni sono state oggetto di plurime, continue (e non coordinate) modifiche normative, corredate dalla necessità di fissare paletti temporali non sempre coerenti con il timing di svolgimento dei lavori agevolabili;
(iv) mancavano, in origine, adeguati presidi normativi antielusivi, atti a prevenire comportamenti illeciti (o addirittura fraudolenti) che, di contro, si sono verificati innumerevoli negli anni, costringendo l’amministrazione finanziaria a combattere questi fenomeni mediante sforzi interpretativi e richiedendo, anche massicciamente, l’intervento della magistratura in sede penale;
(v) non poteva ignorarsi che il riconoscimento della facoltà generalizzata di opzione per la cessione del credito (in senso lato, comprensiva quindi anche dello sconto) – funzionale a consentire la realizzazione di lavori in modalità interamente cashless – avrebbe finito per creare un consistente mercato dei crediti pubblici.
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