L’intimazione di pagamento è atto autonomamente (e obbligatoriamente) impugnabile
di Andrea Gaeta e Lorenzo Romano
La Cassazione, con la sentenza n. 6436, depositata l’11/03/2025, discostandosi da un recente precedente, ha fissato il principio di diritto secondo cui «l’intimazione di pagamento di cui all’art. 50 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 del 1973, in quanto equiparabile all’avviso di mora di cui al precedente art. 46 d.P.R. cit., è impugnabile autonomamente ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. e), d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, sicché la sua impugnazione non è meramente facoltativa, ma necessaria, pena la cristallizzazione dell’obbligazione».
Facciamo un po' d’ordine.
Capita sovente che i contribuenti ricevano la notifica di intimazioni di pagamento (o avvisi di intimazione), atti con i quali Agenzia delle Entrate-Riscossione richiede il pagamento di debiti pregressi entro 5 giorni dalla notifica. Tali atti sono emessi ai sensi dell’articolo 50, comma 2, del Dpr n. 602/73 e hanno la duplice funzione di interrompere i termini di prescrizione e di invitare il contribuente al pagamento prima di dare avvio all’esecuzione forzata, che non può essere avviata se è decorso più di un anno dalla notifica dell’intimazione.
Prima di procedere al pagamento o di richiedere la dilazione (il che, secondo alcune poco condivisibili pronunce della Cassazione – tra cui Cass. n. 27504 e 32030 del 2024 – comporterebbe il riconoscimento del debito e l’interruzione della prescrizione), può essere opportuno valutare se siano decorsi i termini di prescrizione, che – lo si ricorda – sono pari a dieci anni per i tributi erariali; cinque per i tributi locali, gli interessi, le sanzioni, i diritti camerali e i contributi previdenziali; tre per il bollo auto. Peraltro, l’omessa impugnazione della cartella, dell’accertamento esecutivo o dell’avviso di addebito dei contributi previdenziali, non comporta la conversione dei termini più brevi di dieci anni in un unico termine decennale, perché tale effetto consegue solo al giudicato ai sensi dell’articolo 2953 c.c. (così Cass. Sez. Un. n. 23397/2016).
Il ricorso con il quale eccepire la prescrizione può essere diretto al giudice tributario o al giudice ordinario, sulla base della seguente distinzione: «alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione sui fatti incidenti sulla pretesa tributaria (inclusi i fatti costitutivi, modificativi od impeditivi di essa in senso sostanziale) che si assumano verificati fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell'intimazione di pagamento, se validamente avvenute, o fino al momento dell'atto esecutivo, in caso di notificazione omessa, inesistente o nulla degli atti prodromici; alla giurisdizione ordinaria spetta la cognizione sulle questioni di legittimità formale dell'atto esecutivo come tale (a prescindere dall’esistenza o dalla validità della notifica degli atti ad esso prodromici) nonché sui fatti incidenti in senso sostanziale sulla pretesa tributaria, successivi all'epoca della valida notifica della cartella esattoriale o dell'intimazione di pagamento o successivi, in ipotesi di omissione, inesistenza o nullità di detta notifica, all'atto esecutivo cha abbia assunto la funzione di mezzo di conoscenza della cartella o dell'intimazione» (così Cass. Sez. V, n. 34902/2023, e Cass. Sez. Un. 7822/2020).
Se si tratta di debiti non tributari, non occorre porsi il problema del “confine” tra le due giurisdizioni: l’azione assumerà le forme di un’opposizione all’esecuzione, da proporre, ai sensi articoli 615 e 618-bis c.p.c., davanti al Tribunale civile o del lavoro.
Ma cosa accade se il contribuente riceve più intimazioni di pagamento, omettendone di impugnarne una? Può ricorrere contro l’atto successivo?
Secondo Cass. n. 16743 del 17/06/2024, l’omessa impugnazione della prima intimazione notificata dopo la cartella di pagamento (o dopo l’atto impoesattivo) non impedisce che, impugnando la seconda intimazione, il contribuente faccia valere la prescrizione maturata anteriormente alla prima intimazione. Ciò in quanto, si afferma, si tratto di atto non ricompreso nell’elencazione dell’articolo 19 del Dlgs n. 546/1992, e quindi solo facoltativamente impugnabile.
Alla lettera e) del citato articolo 19, infatti, tuttora compare il riferimento all’avviso di mora, atto previsto dalla versione originaria dell’articolo 46 del Dpr n. 602/73, ma che è stato sostituto, dalla riforma del Dlgs. 46/1999, dall’intimazione di pagamento.
Nella sentenza n. 6436 dell’11/03/2025, la Cassazione torna sui propri passi (si vedano Cass. n. 27093/2022, ed ancor prima Cass. Sez. Un. n. 8279/2008). Il caso è quello del contribuente che aveva impugnato un pignoramento notificato il 10/06/2016 per far valere la prescrizione maturata tra la notifica delle cartelle e l’intimazione di pagamento notificata il 27/04/2016 ma non impugnata.
Dopo aver richiamato il consolidato indirizzo sulla categoria degli atti “facoltativamente impugnabili”, ovvero quegli atti che portano a conoscenza del contribuente una pretesa definita nell’an e nel quantum, la Cassazione ha riconosciuto che l’avviso di cui all’articolo 50 del Dpr n. 602/73 «corrisponde al precedente “avviso di mora” di cui all’art. 46 d.P.R. cit. nella versione precedente», ed è quindi un atto autonomamente (e obbligatoriamente) impugnabile.
Nello stesso ordine di idee si pone anche la dottrina (si veda Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di Consolo-Glendi, Cedam, 2023, sub art. 19: «a parte il nome, e il più ristretto ambito di operatività, l'intimazione di pagamento [...] non è che l'equivalente normativo aggiornato dell'avviso di mora [...]. Chi ne è destinatario ha l'onere di impugnativa entro sessanta giorni dalla notifica [...] sotto pena, in difetto, della correlativa inoppugnabilità, con tutte le conseguenti preclusioni»).
Il contribuente, pertanto, ha l’onere d’impugnare l’avviso di intimazione per fare valere l’eventuale prescrizione dei crediti tributari maturati tra la data di notificazione delle cartelle di pagamento e quella di notificazione dell’avviso , e lo stesso deve ritenersi ove voglia eccepire l’omessa notifica dell’atto presupposto. L’eccezione di prescrizione, che si afferma maturata prima dell’intimazione di pagamento, non può invece esser fatta valere impugnando l’atto esecutivo, o la successiva (seconda) intimazione.
La posizione della Cassazione, che ricusa definitivamente il «diverso e isolato orientamento» espresso nemmeno 8 mesi fa da Cass. n. 16743/2024, è dunque da ritenersi corretta, anche se rigorosa, perché muove da una corretta interpretazione “evolutiva” dell’atto in questione, che peraltro sembra evocare la celebre Cass. SS.UU. 16412/2007, secondo cui «la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni».