L’inattività di fronte ai cambiamenti climatici presenta il conto: le aziende perdono un quarto del fatturato
di Pierpaolo Molinengo
È un’emergenza economica a tutti gli effetti, che sta erodendo i profitti e la stabilità economica delle imprese: stiamo parlando del cambiamento climatico, che oggi giorno è diventata una minaccia più reale di quanto molti manager ed imprenditori credono.
Stando ad un nuovo studio che è stato effettuato dal World Economic Forum in collaborazione con Boston Consulting Group (BCG), non adottare delle misure per contrastare i rischi climatici potrebbe comportare per le aziende la perdita del 25 per cento dei profitti entro il 2050. Perdita che, a livello globale, potrebbe determinare una contrazione del Pil del 22 per cento entro la fine del secolo.
Ma entriamo un po’ più nel dettaglio.
I rischi per le imprese
Intitolato “The Cost of Inaction: A CEO Guide to Navigating Climate Risk”, lo studio ha messo in evidenza che i danni derivanti dall'attività delle imprese non sono poi così remoti. Gli eventi estremi legati ai cambiamenti climatici - almeno dal 2000 ad oggi - hanno provocato qualcosa come 3.600 miliardi di dollari di danni economici. Buona parte di questi - stiamo parlando di 1.000 miliardi di dollari - sono stati registrati tra il 2020 ed il 2024: almeno nella metà dei casi sono stati determinati da delle tempeste e da degli uragani.
I trend che stiamo descrivendo sono particolarmente evidenti in Europa e negli Stati Uniti, determinando il ritiro degli assicuratori dalle zone vulnerabili ai disastri naturali: in sostanza, sono prive di copertura assicurative perché il rischio risulta essere troppo elevato.
All’interno del report realizzato da BCG e WEF vengono messi in evidenza due tipi diversi di minacce per le aziende. Il primo è costituito dai danni fisici che subiscono, che sono legati agli eventi estremi nei quali rientrano siccità, uragani ed incendi che dopo aver danneggiato le infrastrutture, arrivano a rallentare e a bloccare completamente o in parte (se tutto va bene) la produzione. Ed interrompono le supply chain.
Il secondo, invece, è determinato dai cosiddetti costi di transizione, che sono determinati dall’aumento della carbon tax e dalla svalutazione degli eventuali asset che sono legati ai combustibili fossili. Solo a voler fare un esempio basti pensare che la domanda mondiale di carbone è destinata a diminuire, entro il 2025, del 90 per cento: questo significa che qualsiasi impianto che è stato messo in funzione dopo il 2010 non riuscirà a raggiungere la fine del suo ciclo di vita che, mediamente, è di 20-25 anni.
Nel corso dei prossimi vent’anni, le imprese che sono più esposte vedranno aumentare i costi operativi e il valore degli asset fossili calare del 35 per cento entro il 2030, creando un impatto economico di non poco conto per molte aziende.
I rischi climatici sono riconosciuti da un po’ tutte le aziende, ma ne è sottostimata l’entità. Andando a dare uno sguardo ai bilanci, si nota come le imprese registrino degli impatti finanziari stimati attorno all’1-3 per cento, quando, stando alla realtà fotografata dagli scenari di BCG, la perdita reale si dovrebbe attestare tra il 5 per cento ed il 25 per cento dell’Ebitda dei prossimi decenni.
Investire nella transizione, una scelta vincente
Lo scenario, che abbiamo presentato fino a questo momento, evidenzia come investire nella transizione ecologica non sia semplicemente una necessità di tipo ambientale, ma risulta essere una scelta economicamente vantaggiosa per le imprese. Ogni dollaro che viene investito nella resilienza climatica genera un ritorno economico che è compreso tra i 2 ed i 19 dollari, evitando delle perdite future.
Sotto il profilo macroeconomico decidere di effettuare un investimento in questo senso può risultare vantaggioso, anche nel lungo termine. Per centrare l’obiettivo di mantenere il riscaldamento sotto i 2° C occorre un investimento pari, grosso modo, al 2 per cento del Pil mondiale in mitigazione. È necessario aggiungere un ulteriore 1 per cento in adattamento: costi che sarebbero ampiamente ripagati considerando che si eviterebbero delle perdite che oscillano tra il 10 per cento ed il 15 cento del Pil mondiale entro la fine del secolo.
Riuscire a cogliere quali possano essere le opportunità della transizione climatica permetterà di inserirsi in un mercato in espansione: il valore dell’economia verde, con ogni probabilità, passerà dagli attuali 5.000 miliardi di dollari ai 14.000 miliardi entro la fine del 2030. Stando a quanto viene messo in evidenza dallo studio, la crescita sarà trainata principalmente da:
● energia alternativa: 49 per cento del mercato;
● trasporti sostenibili: 16 per cento;
● prodotti di consumo eco-friendly: 13 per cento.
Stiamo parlando di settori che starebbero crescendo ad un ritmo annuo del 10/20 per cento, ben al di sopra del tasso di crescita globale.
“Molte aziende sono consapevoli dei rischi climatici, ma faticano a tradurli in una strategia concreta. Il vero pericolo è pensare che il clima sia un problema distante, quando in realtà l’impatto economico dei rischi fisici da eventi atmosferici è già evidente e, senza azioni concrete, destinato a crescere in modo esponenziale - spiega Lorenzo Fantini, Managing Director e Partner di BCG -. Non possiamo più permetterci di ignorare i segnali d’allarme: l’adattamento climatico non è un costo, ma un investimento necessario per salvaguardare il proprio business. Rimandare significa pagare poi un prezzo esorbitante quando il rischio diventa realtà".