L’esenzione IMU per gli immobili merce e i confini dell’interpretazione
di Giacomo Monti
L’articolo 14 delle disposizioni preliminari al Codice civile sancisce un principio di rilevanza generale nel nostro ordinamento: il divieto di analogia per le norme eccezionali, tra cui rientrano, pacificamente, le disposizioni di natura agevolativa. La regola è chiara: “le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”. Il precetto, di per sé semplice, si è tuttavia rivelato terreno accidentato nell’applicazione giurisprudenziale, specie nel settore fiscale.
Sul punto, la giurisprudenza della Cassazione ha consolidato un orientamento ispirato a un’ermeneutica restrittiva: le agevolazioni fiscali, in quanto eccezioni al regime ordinario di imposizione, devono essere interpretate in modo rigoroso, secondo un criterio di stretta legalità, senza possibilità di lettura estensiva o analogica (tra le molte, Cass. nn. 381/2006, 17162/2004, 3971/2002).
Proprio alla luce di tale principio si inserisce l’ordinanza n. 10392 del 21 aprile 2025, con cui la Corte di cassazione ha ritenuto inapplicabile l’esenzione IMU – prevista dall’articolo 13, comma 9-bis, del Dl n. 201/2011 – ai fabbricati oggetto di ristrutturazione, ancorché destinati alla vendita, non locati e posseduti da un’impresa costruttrice.
Nel caso di specie, una società contestava il diniego opposto dal Comune di Roma all’agevolazione IMU per l’anno 2014, riferita a un immobile acquistato, ristrutturato in modo significativo e destinato alla successiva cessione. L’articolo 13, comma 9-bis, nella sua formulazione originaria, consentiva ai comuni di ridurre l’aliquota base per i “fabbricati costruiti e destinati alla vendita” da parte dell’impresa costruttrice. Successivamente, con il Dl n. 102/2013, era stato introdotto per tali immobili un regime di esenzione totale, a condizione che non fossero locati. La disciplina è poi confluita, con modifiche, nella legge n. 160/2019, art. 1, comma 751, che ha previsto – a decorrere dal 2022 – il ripristino del regime esentativo.
La questione interpretativa verte, dunque, sull’espressione “fabbricati costruiti”, che l’Amministrazione finanziaria – con la risoluzione n. 11/DF del 2013 – aveva interpretato in senso ampio, ricomprendendovi non solo i fabbricati di nuova edificazione, ma anche quelli oggetto di interventi edili “pesanti”, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lett. c), d) ed f) del Dpr 380/2001. A supporto di tale lettura, il MEF aveva richiamato l’articolo 5, comma 6, del Dlgs. n. 504/1992, norma originariamente riferita alla determinazione della base imponibile ai fini ICI, ma ritenuta applicabile anche all’IMU in forza del rinvio contenuto nel citato articolo 13 del Dl n. 201/2011.
Tale orientamento, oltre ad apparire coerente con la ratio dell’agevolazione – finalizzata a sostenere il comparto immobiliare nella fase di collocamento degli immobili sul mercato – aveva finora trovato sostanziale accoglimento anche nella prassi applicativa di molti enti locali.
La Cassazione, nell’ordinanza del 2025, disconosce tale impostazione e afferma con nettezza che l’esenzione si applica unicamente ai fabbricati costruiti ex novo dall’impresa costruttrice e destinati alla vendita, escludendo dal perimetro agevolativo quelli acquistati e ristrutturati, pur se oggetto della medesima destinazione. La Corte fonda la propria decisione sul carattere eccezionale della norma e sul principio di tassatività delle agevolazioni fiscali, affermando che “ostano alla sua estensione […] la natura eccezionale delle disposizioni legislative in materia”.
Il punto critico, che merita una riflessione più ampia, riguarda l’effetto che una simile interpretazione restrittiva produce sul rapporto tra norma e prassi.
È chiaro che l’attività interpretativa dell’Amministrazione finanziaria non ha forza di legge. Tuttavia, sorprende che la Corte disattenda un’interpretazione che – una volta tanto – si segnala per equilibrio e coerenza sistematica, oltre che per una visione non meramente funzionale all’interesse erariale. Si tratta, in fondo, di una lettura che tenta di riconciliare il dato normativo con la logica economica e con la ratio dell’agevolazione: incentivare l’imprenditore a destinare rapidamente al mercato immobili che, pur non edificati ex novo, sono stati oggetto di rilevante rigenerazione.
In secondo luogo, il criterio letterale – pur imprescindibile – non può essere elevato a metro esclusivo. Un approccio eccessivamente formalistico rischia di mortificare la funzione incentivante della norma e di penalizzare, in modo irragionevole, strategie imprenditoriali ormai consolidate.
In definitiva, la pronuncia della Cassazione conferma una tendenza ormai consolidata della giurisprudenza di legittimità ad interpretare le norme agevolative secondo un criterio di assoluta rigidità, escludendo ogni possibile lettura evolutiva, anche quando ciò conduca a risultati irragionevoli e chiaramente disallineati rispetto alla ratio della disposizione. Così facendo, come si evidenzia nel caso della pronuncia 10392, si finisce però per svuotare di efficacia concreta l’incentivo normativo e per allontanare la fiscalità immobiliare da quella logica economica che dovrebbe sostenerla.