L’ennesima riapertura dei termini per il riversamento del credito R&S: le solite esigenze di cassa?
di Andrea Gaeta e Maurizio Nadalutti
Per la settima volta dall’introduzione dell’articolo 5 del Dlgs n. 146/2021, è stata riaperta (fino al 3/6/2025) la possibilità di aderire al riversamento del credito d’imposta per le attività di Ricerca e Sviluppo, maturato tra il 2015 e il 2019 e utilizzato in compensazione sino al 22/10/2021.
In linea con l’ultima proroga, viene prevista la possibilità di riversare il credito, al netto di sanzioni e interessi, in un’unica soluzione entro il 3/6/2025 o in tre rate di pari importo con scadenza 3/6/2025, 16/12/2025 e 16/12/2026, maggiorate degli interessi legali applicati alla seconda e alla terza rata.
I benefici del riversamento sono immutati e consistono nell’esclusione di sanzioni e interessi oltre che nell’esclusione della punibilità del delitto di indebita compensazione. Quanto a quest’ultimo profilo, è importante rilevare che l’articolo 5 del Dlgs 146/2021, a differenza di quanto prevede la “causa di non punibilità” di cui all’articolo 13 del Dlgs. 74/2000, non distingue tra crediti “inesistenti” e “non spettanti”, ma richiama l’intero articolo 10-quater del Dlgs. 74/2000.
Caduto (come si dirà) anche il limite della definitività dell’atto di recupero, l’unico ostacolo al riversamento è oggi rappresentato dalla sussistenza delle ipotesi indicate all’articolo 5, comma 8, del Dlgs 146/2021, ovvero delle ipotesi in cui il credito «sia il risultato di condotte fraudolente, di fattispecie oggettivamente o soggettivamente simulate, di false rappresentazioni della realtà basate sull'utilizzo di documenti falsi o di fatture che documentano operazioni inesistenti», e quelle in cui manchi (si ritiene, del tutto) la documentazione delle spese sostenute.
I motivi di questa riapertura dovrebbero essere ricercati nella scarsa adesione alla sanatoria nel recente passato. Si riscontra però che nel frattempo gli uffici dell’Amministrazione finanziaria hanno intensificato i controlli sui crediti R&S fruiti dai contribuenti, mettendo in discussione anche situazioni per le quali non paiono esserci dubbi sull’effettiva spettanza dell’agevolazione.
A voler pensare male, pare quindi che la proroga in esame sia strettamente funzionale a soddisfare esigenze di cassa erariali, magari cercando di “convincere” qualche contribuente interessato da verifiche ad evitare la (spesso tortuosa) strada del contenzioso e a riversare il credito R&S fruito.
Sono tuttavia diverse le ragioni da tenere in considerazione che dovrebbero indurre, il più delle volte, invece, il contribuente a difendere la propria posizione innanzi al giudice tributario.
Infatti, come dimostra l’esperienza pratica, le contestazioni mosse dall’Agenzia delle Entrate in materia di crediti R&S sono, spesso, tutt’altro che “solide”. Esse consistono, di norma, in un’analisi dei progetti, alla quale segue un richiamo al Manuale di Frascati, standard per la misura della ricerca e sviluppo, e ai requisiti ivi previsti affinché una ricerca possa dirsi tale. Il tutto si conclude con l’affermazione che le tecnologie sviluppate dall’impresa sono già disponibili sul mercato e che, quindi, si tratta di novità non “di settore” ma solo “aziendali”.
Secondo l’Agenzia, infatti, la ricerca agevolabile dovrebbe condurre a un risultato dirompente per il settore di riferimento, e non potrebbe consistere in un’innovazione soltanto “aziendale”.
Tale interpretazione discende dalla Ris. n. 40/2019, che per la prima volta – dopo anni che l’agevolazione per attività di R&S era già in vigore – ha richiamato esplicitamente il Manuale di Frascati. Al contrario, sia la circolare n. 5/E/2016, che la prassi successiva, avevano ritenuto sufficiente un minore standard di novità, in linea con il Manuale di Oslo, il quale richiede soltanto che il prodotto o il processo sia nuovo, o sensibilmente migliorato, per l’azienda. Il problema è che molti contribuenti, il cui legittimo affidamento deve essere tutelato, anche ai sensi dell’articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, avevano riposto fiducia nelle indicazioni fornite nella prima fase. Il Manuale di Frascati è stato richiamato per la prima volta dalla Comunicazione 2014/C/198/01 della Commissione Europea, per poi essere recepito dalla norma interna con l’articolo 1, commi 199 e ss., L. 160/2019; ma si tratta, appunto, di provvedimenti successivi al DL n. 145/2013 (si veda, sul punto, la sentenza della CGT di II grado di Aosta n. 5/01/2023). In chiave interpretativa, occorrerebbe inoltre considerare anche la previsione del DM 26/05/2025, attuativo del credito d’imposta per sviluppo, ricerca e innovazione (articolo 1, commi 199 ss., L. 160/2019), secondo cui la novità rispetto allo stato dell’arte può rilevare solo rispetto a ciò che è conoscibile: se le informazioni sul processo o sul prodotto non sono disponibili o accessibili dall’impresa, la stessa deve essere ammessa al credito (si tratta di un aspetto spesso “dimenticato” dagli uffici verificatori).
Inoltre, la contestazione del credito non è quasi mai condotta sulla base del parere tecnico del MiMIt, ex MiSE: sebbene sia pacifico che si tratti di un parere facoltativo, è pur vero che lo stesso risulta essere indispensabile laddove vi sia l’esigenza di osservazioni di natura “tecnica”. È per questo motivo che numerosissime Corti di merito hanno ritenuto viziati, sotto il profilo dell’eccesso di potere e/o del vizio di motivazione, gli atti di recupero notificati senza un’adeguata istruttoria tecnica preventiva.
Si pone poi il problema, tuttora non definito, della distinzione tra crediti inesistenti e non spettanti, che il previgente articolo 13 del Dlgs 471/1997 aveva certamente meglio individuato (nonostante talune incertezze giurisprudenziali).
Al riguardo, è noto difatti che gli uffici amministrativi tendono, pressoché sempre, a qualificare i crediti R&S utilizzati in compensazione come “inesistenti”, applicando così il termine di 8 anni per il recupero (articolo 27, comma 16, DL n. 185/2008). Tuttavia, nella maggior parte dei casi, non si tratta di crediti fraudolenti creati con documenti falsi o operazioni simulate, ma di crediti che da un lato vengono disconosciuti in base a valutazioni meramente “qualitative”, e dall’altro ben possono essere “intercettati” mediante controlli cd. formali. In applicazione della precedente previsione dell’articolo 13, comma 5, Dlgs 471/1997, ciò dovrebbe condurre a una più corretta qualificazione di tali crediti come “non spettanti”, dunque – come confermato anche dalla Cassazione (SS.UU. n. 34419/2023, Cass. n. 15186/2016 e n. 4153/2018) – da recuperare entro il termine ordinario di accertamento (31/12 del quinto anno successivo all’utilizzo).
Il contribuente, prima di aderire alla sanatoria in esame, è quindi chiamato a fare un’attenta analisi della propria situazione, magari tenendo conto di quanto appena riportato. Sicché dovrebbero essere davvero limitati i casi in cui sussiste convenienza a riversare il credito R&S. Anche perché i contribuenti in mala fede probabilmente hanno già in passato deciso di accedere alla misura “condonistica”.
Da segnalare, infine, due novità degne di nota.
La prima è che l’adesione alla procedura di riversamento deve necessariamente comportare la rinuncia all’eventuale contenzioso pendente. Si tratta di una previsione apprezzabile, dato che in passato non vi era alcuna norma di “raccordo” con il processo. Non può che trattarsi, a nostro avviso, di una rinuncia “condizionata” in quanto, laddove l’Ufficio dovesse dichiarare inefficace il riversamento e riprendere la propria attività di accertamento, il contribuente non potrebbe essere privato del diritto di contestare sia l’atto che commina la decadenza, se notificato in via autonoma, sia gli eventuali atti successivi.
La seconda novità è l’inedita apertura del riversamento (in un’unica soluzione) agli atti già divenuti definitivi. Dovrebbero pertanto rientrarvi anche gli atti di recupero più datati, per i quali la pretesa impositiva è già in carico all’agente della riscossione.
Ad ogni buon conto, il quadro descritto evidenzia ancora una volta un sistema poco credibile – fatto di incentivi forieri di incertezze interpretative, regole che vengono cambiate in corso d’opera, sanatorie introdotte più che altro per fare cassa e non invece per permettere ai contribuenti in buona fede di rimediare ad errori interpretativi - che non può certo essere visto di buon occhio dagli investitori, specie quelli stranieri.