L’Editoriale - Forma più importante della sostanza per il nuovo Consiglio superiore dell’economia e delle finanze
di Andrea Carinci
Addirittura un Consiglio superiore dell’economia e delle finanze.
L’ultima trovata del Ministero è la costituzione di un Consiglio composto di personalità di spicco (vai a capire i criteri di scelta), con l’ardito compito di comporre un “codice del diritto tributario” (ma non solo: si veda più oltre). Ebbene, considerato che l’Agenzia, nel silenzio generale, ha già redatto ben tre testi unici, la costituzione di un simile comitato per redigere un “testo unico tributario” appare quanto meno sospetta.
Il sospetto, in verità, diviene presto certezza se solo si sposta l’attenzione su come sarà composta la segreteria che dovrà assistere il Consiglio: dipendenti del Ministero, funzionari dell’Agenzia, militari della Guardia di Finanza. Insomma, si sa già cosa potersi aspettare.
Il problema, però, è l’obiettivo che si intende perseguire.
Se si tratta di una mera compilazione di un codice tributario, prendendo in rassegna le migliaia di norme fiscali disseminate nell’ordinamento, probabilmente basterebbe istruire un programma di intelligenza artificiale che farebbe il lavoro in una manciata di minuti. Diverso se si intende procedere per temi: la fiscalità dell’impresa, la fiscalità delle persone fisiche, la fiscalità degli immobili, ecc. Questo, probabilmente, sarebbe di una qualche utilità. La mera compilazione di un testo unico, quasi a voler dare l’idea che il diritto tributario è inquadrabile a sistema, appare un’idea per certi versi irrealizzabile e per altri anacronistica, anche solo tenendo conto del fatto che molte norme non sono contenute in fonti nazionali. Senza considerare l’apporto dirimente del diritto vivente.
Qual è quindi la finalità di questo “sommo consesso”? Verosimilmente, l’idea è quella di attribuire al lavoro autorevolezza e prestigio, con una sorta di bolla notarile che dovrebbe sedare fin dal principio ogni possibile critica o censura. Ma diciamolo, di questi tempi ci vuole ben altro: l’autorevolezza non è più una dote precostituita, ma si deve conquistare sul campo. Quindi, il lavoro, quale esso sia, deve meritarsi i galloni sul campo. E questo appare certamente meno scontato.
Ma poi, se il lavoro deve essere una mera compilazione ed un semplice riordino di norme, i meriti che si possono conquistare non sembrano molti. Altro discorso se, come detto, si segue una via indiretta di sistematizzazione per argomenti e temi di interesse. Ma qui il lavoro appare molto più complesso anche perché, come accennato, bisognerebbe dare altresì conto dell’incidenza di fonti sovranazionali, come la giurisprudenza della Corte di Giustizia o della Corte EDU nonché dell’apporto, spesso tranciante, della giurisprudenza nazionale.
Ma un lavoro del genere è fattibile? Ma poi, a cosa serve effettivamente un codice tributario? Potrebbe, è vero, servire a dare l’idea che il diritto tributario è inquadrabile a sistema. Ma questo può valere se, così facendo, si vuole far passare il messaggio che la normativa non sarà rimaneggiata per almeno dieci anni. Ma ciò appare credibile? Con i crediti di imposta, che ogni anno nascono, muoiono e si trasformano, che facciamo? Li escludiamo dal codice o rimaneggiamo il codice ogni anno? E i condoni, non li facciamo più? Insomma, la partenza appare quanto meno in salita.
L’idea di un codice unico tributario appare una bella idea, ma forse non si è ben consapevoli delle condizioni attuali in cui un simile codice dovrebbe operare. Per essere utile in qualche modo, dovrebbe rassegnare la disciplina per aree tematiche, ma questo significa stravolgere la sistematica canonica con cui sono state promulgate le varie norme fiscali.
L’unico timore, che speriamo l’esperienza smorzi in fretta, è che la costituzione del “sommo consesso” voglia fungere da foglia di fico per avallare non tanto una risistemazione del dato normativo, bensì una sua rilettura. Sospetto, questo, che trova un forte innesco nella formulazione della norma che prevede l’istituzione del Consiglio superiore. Qui vi si legge, infatti, che il Consiglio è istituito “al fine di coadiuvare… all’attuazione della riforma fiscale e alla predisposizione del codice tributario”. Ora, l’utilizzo della congiunzione “e” lascia quanto meno basiti, perché sembrerebbe intendere che i compiti assegnati al Consiglio siano due: l’attuazione della riforma ed il codice. Ma, se così fosse, si porrebbero non pochi problemi. Innanzitutto, di costituzionalità: a parte che la norma è un emendamento ad una legge di conversione di un DL (DL PA), che nulla prevedeva al riguardo, e già questo è a rischio di incostituzionalità. Ma poi, e soprattutto, manca una delega con fissazione dei criteri direttivi. Lungo quali direttive dovrebbe attuarsi l’attuazione della riforma? In assenza di criteri, come dovrebbe muoversi il Consiglio? Non si può certo credere che si sia data una delega in bianco. E poi, con quali fini? A pensare male si fa peccato ma…