L’Editoriale - Etica fiscale e giustizia redistributiva: una riflessione tra il magistero di Papa Francesco e la disciplina tributaria italiana
di Giuseppe Mogliani
In un tempo di crescenti diseguaglianze economiche, il dibattito sulla giustizia fiscale si riaccende con rinnovato vigore, interrogando non solo il legislatore e l’interprete del diritto ma anche la coscienza collettiva. La figura di Papa Francesco – la cui visione sociale e morale ha impresso un’impronta significativa sulla Chiesa cattolica – si presta a fornire una chiave di lettura alternativa e profondamente umana delle dinamiche tributarie, in particolare nel rapporto tra potere di accertamento dello Stato e dovere di contribuzione del cittadino.
Papa Francesco ha introdotto una visione pastorale del potere ecclesiale incentrata sulla misericordia, sul primato della persona e sulla lotta alle marginalità. La sua critica all’idolatria del denaro e al neoliberismo privo di vincoli etici – come espresso nell’enciclica Evangelii Gaudium e poi nella Laudato si’ – rappresenta una presa di posizione netta contro le logiche estrattive dell’economia finanziarizzata.
«L’economia uccide», ha afferma il Pontefice con forza, laddove questa si emancipa da ogni controllo sociale. Ma tale affermazione non può essere letta in senso semplicistico o populista. Essa contiene, invece, una sofisticata riflessione sulla necessità che le strutture economiche siano orientate al bene comune e che la legalità sia finalizzata alla giustizia distributiva. Da questo punto di vista, la tassazione appare non solo come dovere civico ma come atto morale.
Nel quadro costituzionale italiano, l’articolo 53 Cost. consacra il principio della progressività tributaria, sancendo il dovere di concorrere alle spese pubbliche “in ragione della propria capacità contributiva”. Tale principio assume una portata non solo tecnica ma valoriale, fondandosi su una visione solidaristica dello Stato democratico.
Il rispetto della legge fiscale non dovrebbe derivare dal solo timore delle sanzioni ma da una razionale adesione a un imperativo etico di equità. Tuttavia, quando l’azione dello Stato appare eccessivamente sanzionatoria o sproporzionata rispetto alla reale capacità contributiva del soggetto, si crea una frattura tra norma e legittimità percepita.
Negli ultimi anni, in particolare, l’Agenzia delle Entrate ha rafforzato il proprio apparato ispettivo, grazie all’uso di strumenti sempre più sofisticati di data mining e incrocio dei dati.
In questo contesto, si delinea un modello di “Stato sentinella” più che “Stato punitore”, fondato su tecniche preventive e su forme di cooperative compliance. Tuttavia, la percezione da parte dei contribuenti – soprattutto di quelli più piccoli – rimane spesso quella di uno Stato che osserva e punisce, piuttosto che di un interlocutore che accompagna.
In tale ottica, il pensiero di Francesco invita a riflettere la fiscalità come strumento di prossimità sociale. “Il vero potere è servire”, scrive il Papa. Da qui la possibilità di un fisco che non solo pretenda ma anche ascolti, comprenda, valuti le specificità soggettive e i contesti economici.
Il rispetto delle regole fiscali, in una società democratica, non può essere fondato esclusivamente sul deterrente. La teoria dell’obbedienza fiscale mostra come la tax compliance dipenda più dalla fiducia nelle istituzioni che dall’intensità dei controlli. Il cittadino che percepisce equità nel sistema tributario sarà più incline a adempiere spontaneamente ai propri obblighi.
La lezione che viene dal pensiero francescano è chiara: la giustizia deve essere relazionale. Laddove il cittadino si sente rispettato, incluso, non escluso o stigmatizzato, anche l’obbligo fiscale può trasformarsi in atto di partecipazione al destino della comunità. In questo senso, non si tratta di attenuare il rigore ma di umanizzarne l’applicazione.
L’evasione fiscale non è solo una violazione della legge. È, come afferma Papa Francesco, una forma di “corruzione spirituale”. Essa rompe il patto sociale, mina la fiducia e aggrava le disuguaglianze. Secondo stime recenti, il tax gap italiano ammonta a oltre 90 miliardi di euro annui. Di fronte a tali cifre, la risposta non può essere esclusivamente repressiva: è necessaria una pedagogia fiscale che promuova la cultura della legalità.
In questa direzione, l’educazione civica e fiscale nelle scuole, la trasparenza nella spesa pubblica e l’esempio da parte delle istituzioni rappresentano strumenti di promozione di una nuova etica del contribuire. Come scrive Martha Nussbaum, «la giustizia sociale si costruisce quando le istituzioni e i cittadini si riconoscono reciprocamente».
La riflessione sulle intersezioni tra magistero morale e ordinamento fiscale non si esaurisce in una proposta etica ma interpella direttamente il giurista e il professionista. In un’epoca di grande complessità normativa e crescente tecnocrazia, il rischio è che il diritto tributario perda il suo volto umano. L’invito che ci viene dal pensiero di Papa Francesco è, invece, quello di tenere insieme legalità e prossimità, rigore e compassione, diritto e giustizia.
In definitiva, la fiscalità non è solo un meccanismo di redistribuzione delle risorse: è uno specchio della nostra idea di comunità. E forse, la domanda più urgente da porci oggi non è: “quanto tassare?” o “quanto controllare?”, ma: “che società vogliamo costruire anche attraverso la fiscalità?”.