Il frastuono sollevato dalla sentenza della Suprema Corte n. 3800/2025 (commentata su queste pagine), con cui la Cassazione ha preso posizione sull’articolo 21-bis del DLgs. n. 74/2000, limitandone l’operatività alle sole sanzioni, si è spento, in tempi incredibilmente rapidi. Ma non poteva essere altrimenti.
Con l’ordinanza n. 5714/2025, la sezione tributaria della Suprema Corte ha infatti rinviato alle Sezioni Unite la questione posta dagli effetti dell’introduzione dell’articolo 21-bis. La Corte rileva come, sul punto, si siano già manifestati due orientamenti opposti.
Secondo il primo, l’efficacia di giudicato della sentenza penale di assoluzione vale, nel processo tributario, sia ai fini delle sanzioni che dell’imposta (Cass. n. 23570/2024 e Cass. n. 23609/2024, Cass. 21584/2024, Cass. n. 30675/2024, Cass. n. 30814/2024, Cass. nn. 936/2025 e 1021/2025).
In base al secondo orientamento, invece, l’efficacia di giudicato della sentenza penale di assoluzione avrebbe effetti solo limitatamente alle sanzioni mentre, per l’imposta, costituirebbe solo uno degli elementi oggetto di valutazione da parte del giudice tributario (Cass. n. 3800/2025, Cass. n. 4916/2025, Cass. n. 4921/2025, Cass. n. 4924/2025 e Cass. n. 4935/2025).
Va detto che entrambi gli orientamenti ritengono di interpretare la ratio della norma in esame, anche se in termini evidentemente antitetici.
Il giudice rimettente, dal canto suo, parrebbe propendere per il primo orientamento, anche se non formula un chiaro indirizzo.
Il fatto è, tuttavia, che il primo indirizzo, che riconosce valore di giudicato anche per le imposte, appare decisamente più convincente.
È vero che la novella è stata introdotta in occasione della riforma del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale. Ma, del resto, la sentenza penale si occupa solo di sanzioni. Piuttosto, va considerato che la legge delega, la n. 111/2023, all’articolo 20, chiarisce come criterio direttivo che occorrerà «rivedere i rapporti tra il processo penale e il processo tributario prevedendo, in coerenza con i principi generali dell'ordinamento, che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all'accertamento dei fatti medesimi», senza alcun distinguo.
Ma la ragione, sostanziale, per cui il secondo orientamento appare più debole, sul piano argomentativo, è che, nell’accertamento, gli unici fatti che in concreto rilevano, solo i fatti che provano l’evasione. Che quindi attengono alla determinazione dell’imposta asseritamente evasa. Non vi è alcun accertamento autonomo dei fatti che integrano la pretesa sanzionatoria, dal momento che le sanzioni si applicano in quanto e perché si è evaso. È quindi l’evasione l’unico fatto che nell’accertamento viene provato. Del resto, negli accertamenti manca la motivazione riguardo alle sanzioni, ma questo proprio perché le sanzioni sono applicate se ed in quanto si è evaso. Quindi, l’unico fatto che rileva è l’evasione.
Bisognerà attendere le Sezioni Unite, indubbiamente, ma si resta comunque dell’avviso che una lettura corretta dell’articolo 21-bis del DLgs. n. 74/2000 porti necessariamente a riconoscere valore al giudicato penale, sia ai fini delle sanzioni che ai fini dell’imposta. Appare quanto meno irrazionale immaginare un sistema dove il giudicato valga ai soli fini dei fatti rilevanti per le sanzioni e non anche per quelli dell’imposta, quando detti fatti sono esattamente i medesimi.
Più raffinata la seconda questione portata all’attenzione delle Sezioni Unite.
Qui, in sostanza, si domanda se, per l’operatività dell’articolo 21-bis, occorre la formula assolutoria prevista dall’articolo 530, comma 1, c.p.p. o possa valere anche la formula di cui al comma 2 del medesimo articolo.
Come noto, le due formule previste dall’articolo 530 c.p.p., sono molto differenti.
Il comma 1 prevede l’assoluzione quando viene accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso oppure che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione. Qui, insomma, si ha un accertamento positivo del fatto negativo.
Viceversa, il comma 2, prevede l’assoluzione anche nel caso in cui manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova circa la sussistenza del fatto, ovvero del fatto che l'imputato lo abbia commesso o che il fatto costituisca reato o sia stato commesso da persona imputabile. Qui manca la prova positiva del fatto, semplicemente perché, alla stregua della disciplina processual penalistica, non si è potuta raggiungere la prova piena della colpevolezza o della commissione del fatto.
Anche in questo caso, la Corte remittente osserva come si contrappongano due posizioni: la prima che ammette la rilevanza della formula assolutoria ai sensi dell’articolo 530, comma 2, c.p.p. (Cass. n. 23570/2024 e Cass. n. 23609/2024 ) e l’altra, di converso, che non la consente (Cass. n. 3800/2025, Cass. n. 4291/2025, Cass. n. 4294/2025).
Anche in questo caso occorrerà attendere le Sezioni Unite; non di meno, qualche considerazione può essere fatta.
Il senso dell’articolo 21-bis è quello, sostanzialmente, di dare atto che se, a seguito di una compiuta istruttoria processuale in sede penale, si perviene all’accertamento di un fatto, questo deve valere anche nel processo tributario. Ebbene, nel comma 2 dell’articolo 530 c.p.p., il giudice si limita solo a dare conto che non è stata raggiunta la prova del fatto che occorreva dimostrare. Non attesta un fatto, ma da solo conto dell’impossibilità di accertarlo seguendo le regole del processo penale.
Se così, si deve allora dire che la soluzione che esclude rilevanza alla formula ai sensi del comma 2 dell’articolo 530 c.p.p. appare più convincente, sul piano sistematico. Il fatto che non sia possibile accertare un fatto in sede penale non significa che quel fatto non possa essere provato in sede tributaria, dove operano prove che non hanno ingresso nel processo penale, come ad esempio le presunzioni anche semplicissime.