L’Editoriale - Avviso ai naviganti: piccola bussola per orientarsi in tema di sopravvenuta non impugnabilità del ruolo per vizi di notifica
di Andrea Carinci e Sara Pini
La sopravvenuta non impugnabilità del ruolo per vizi di notifica, determinata con l’inserimento del nuovo comma 4-bis nell’articolo 12 del DPR 602/1973, ha sollevato una marea di critiche. Nonostante il pensiero delle Sezioni Unite e poi della Corte Costituzionale, le perplessità di illegittimità costituzionale di detta previsione non si possono certo dire sopite. Ma c’è un altro problema, forse più impellente.
Come noto, la Corte di Cassazione (Cass., Sez. un., 6 settembre 2022, n. 26283), chiamata a pronunciarsi sulla novella, ha pensato bene di precisare che, pur non avendo efficacia retroattiva, la novella può non di meno tornare applicabile ai processi pendenti. Difatti, dice la Corte, per effetto della novità normativa è stato modificato l’interesse ad agire nell’impugnazione del ruolo e della cartella; sicché, dal momento che l’interesse ad agire deve essere valutato dal giudice al momento della sentenza, ecco che la modifica finisce per impattare anche sui giudizi in corso. Questo significa che sono divenuti ammissibili solo quei ricorsi in cui, al momento della decisione, sia verificabile una delle eccezioni previste dalla norma (pregiudizio derivante dal codice dei contratti pubblici, perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione, riscossione di somme dovute al contribuente dai soggetti pubblici ecc.). Ebbene, le conseguenze appaiono devastanti. Perché è evidente che la verifica della sussistenza o meno di quelle eccezioni era possibile al più al momento del promovimento dell’azione, ma certamente non in un momento successivo, a ricorso già notificato. In verità, nonostante il pensiero della Corte, appare più corretto inquadrare quelle condizioni sopravvenute come condizioni di procedibilità e non come specificazione dell’interesse ad agire, anche perché l’interesse ad agire non risulta in concreto modificato (rimanendo quello di eliminare il ruolo e la cartella). E, come condizioni di procedibilità, ecco che vanno verificate al tempo della proposizione del ricorso e non della decisione.
A questo punto, però, un’altra questione si pone. Se, infatti, si segue la linea della Cassazione, e quindi si interpretano le nuove condizioni come specificazione dell’interesse ad agire, diviene inevitabile configurare una evidente violazione dell’articolo 6, sull’equo processo, della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. L’aver previsto, successivamente alla proposizione del ricorso, nuove condizioni, che ne pregiudicano l’accoglimento, appare infatti una stortura che pregiudica il diritto ad un equo processo. Sul punto la giurisprudenza della Corte EDU è chiara: viola l’articolo 6 ogni intervento normativo, sopravvenuto, che pregiudica ex post la proponibilità di un’azione che, al tempo in cui è stata introdotta, aveva tutte le condizioni per essere valutata e se del caso accolta.
Se dovesse prevalere la soluzione professata dalla Cassazione, si porrebbe così un possibile conflitto con l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela l’equo processo. Avere inserito nuove condizioni all’azione, che non erano note al tempo della sua proposizione, appare un’interferenza del potere pubblico che pregiudica il corretto godimento del diritto alla difesa. L’accessibilità, chiarezza e prevedibilità delle disposizioni legislative e della giurisprudenza, in particolare con riferimento alle condizioni formali, ai termini e alle decadenze di un’azione giudiziaria, garantiscono l’effettività dell’accesso alla giustizia (Gil Sanjuan c. Spagna, n. 48297/15, 26 maggio 2020, par. 38). Vi è però un problema, dal momento che il tema fiscale è tradizionalmente considerato estraneo all’articolo 6 (Ferrazzini c. Italia n. 44759/1998). Sul punto la Corte EDU è infatti ferma nel ribadire la sua costante giurisprudenza secondo cui l'aspetto civile dell'articolo 6 della Convenzione non è applicabile all'accertamento dell'imposta e delle soprattasse (Vegotex International S.A. c. Belgio [GC], n. 49812/09, §§ 65-66, 3 novembre 2022).
Sennonché, in un caso del genere, non sarebbe in discussione l’an o il quantum del tributo quanto e solo il funzionamento del processo. Del resto, la Corte EDU si è pronunciata sul formalismo del giudizio in Cassazione (Succi e a. c. Italia, n. 55064/11; Patricolo e a. n. 37943/17) e detto giudizio è il medesimo in materia tributaria e civile, per cui si deve ritenere che i principi enunciati dalla Corte EDU debbano valere per tutti i ricorsi in Cassazione, indipendentemente dall’oggetto.
In ogni caso, vi sarebbe comunque il tema delle sanzioni applicabili, che sicuramente entra nel perimetro dell’articolo 6, par. 2 (F.S.M. c. Spagna, n. 56712/21). La base giuridica delle sanzioni tributarie implica, per la loro stessa natura, che il loro scopo sia di dissuasione e di punizione (Melgarejo Martinez de Abellanosa c. Spagna, n. 11200/19, § 25, 14 dicembre 2021) e questo è in grado di conferire una natura penale alle sanzioni fiscali (Agurdino S.R.L. c. Moldavia, n. 7359/06, § 23, 27 settembre 2011).
Per cui il contrasto appare configurabile.
Come rimediare? Sarà inevitabile promuovere il ricorso alla CEDU. Sicuramente per chi ha già ricevuto la sentenza della Cassazione. Ma anche per chi è ancora nelle fasi di merito, raccomandando al riguardo di articolare il motivo facendo riferimento alla Cedu. Peraltro, stante l’assetto della giurisprudenza, pare possibile rivolgersi alla Cedu senza aver esaurito i mezzi di impugnazione, posto che l’esito appare oramai ampiamente consolidato.