L'Editoriale - Quattro mesi in più per un piccolo contributo alla credibilità del fisco italiano, più che per una ri-forma
di Dario Deotto
Dunque, ci sarà più tempo per attuare le varie disposizioni della legge delega di riforma fiscale (L 111/2023) che finora non hanno visto la luce. I decreti legislativi potranno essere emanati fino al 31 dicembre di quest’anno. Lo prevede il Ddl approvato mercoledì scorso.
Chissà, a questo punto, se saranno sufficienti pochi mesi in più per considerare la legge n. 111/2023, se non una vera e propria ri-forma (oramai in molti hanno compreso che non si può definirla tale – ri-forma significa, appunto, “dare nuova forma”, in questo caso al fisco), almeno, più prosaicamente, una revisione di taluni istituti del sistema tributario. Si attendono, in particolare, alcune misure che possano avere un risvolto davvero concreto per gli operatori.
Tra queste, si pensi al tema – molto sentito – degli accertamenti nei confronti dei soci di società a ristretta base partecipativa. La legge delega prevede che l’accertamento è giustificato solo nell’ipotesi in cui alla società siano imputati, sulla base di elementi certi e precisi, maggiori componenti positivi oppure dei componenti negativi inesistenti. Il tutto “ferma restando” la natura di reddito finanziario conseguito dai soci stessi.
Si tratterebbe di un intervento di estrema importanza, considerata la “cecità” della giurisprudenza di legittimità sull’argomento (con conseguente “sfruttamento” di questa scia da parte degli uffici dell’amministrazione finanziaria). Tant’è che, anche per andare incontro ai più pessimisti circa la concreta attuazione della delega, si potrebbe pensare che la previsione (articolo 17, lettera h), n. 4) della L 111/2023) possa essere considerata norma già completa e (già) operativa, come tale non necessitante di essere attuata attraverso decreto legislativo.
In proposito, va ricordato che la legge delega è un atto normativo vero e proprio, svincolato dai decreti di attuazione. La Corte Costituzionale n. 224/1990 ha stabilito che “la legge delega è il prodotto di un procedimento di legiferazione ordinaria a sé stante e in sé compiuto e, pertanto, non è legata ai decreti legislativi da un vincolo strutturale che possa indurre a collocarla, rispetto a questi ultimi, entro una medesima e unitaria fattispecie procedimentale”.
Occorre poi rilevare che, all’interno della legge delega, si ravvisano tendenzialmente due tipologie di disposizioni: quelle oggetto del rapporto di delega (i principi e i criteri direttivi) e quelle di immediata applicazione, destinate a disciplinare direttamente i casi della vita. In quest’ultimo caso le norme non hanno bisogno di alcuna attuazione attraverso i decreti legislativi. Inoltre, occorre considerare la possibilità – valorizzata dalla dottrina penalistica – che norme (di delega) che fissino principi e criteri direttivi possano essere considerate al tempo stesso disposizioni che regolano immediatamente i casi della vita. In quest’ottica, sempre la Corte Costituzionale n. 224/1990 rileva che i principi e i criteri direttivi presentano una fenomenologia estremamente variegata con la conseguenza che “non si può negare che la legge di delegazione possa contenere un principio di disciplina sostanziale della materia o una regolamentazione parziale della stessa… da cui potrebbe derivare una diretta e immediata incidenza”.
In sostanza, non si nega che anche in presenza di principi e criteri direttivi rivolti al Governo (come nel caso dell’articolo 17 della L 111/2023) la legge delega – se completa anche delle disposizioni di dettaglio - possa trovare immediata applicazione.
Sicché, poiché peraltro la tematica degli accertamenti nei confronti dei soci di società a ristretta base è una “costruzione” soltanto giurisprudenziale, si potrebbe ritenere che la previsione della legge delega sul tema sia già completa, così da non esigere alcun intervento attuativo da parte del Governo, e quindi già operativa.
Senza contare che il “fermo restando” (la natura di reddito finanziario di quanto percepito dai soci) contenuto nella norma può anche essere considerato espressione di una norma di interpretazione autentica.
Lo stesso potrebbe dirsi per un tema altrettanto sentito: quello dei componenti reddituali ad efficacia pluriennale e delle perdite, per i quali si stabilisce che occorre avere riguardo, ai fini dei termini decadenziali di accertamento, al periodo d’imposta in cui si è verificato per la prima volta il fatto generatore o la perdita stessa (e non ai “ratei” successivi). Ciò contrariamente a quanto stabilito dalla sentenza della Cassazione a S.U. n. 8500/2021. Si ricorderà che, secondo la Corte, la decadenza della potestà di accertamento dei componenti di reddito pluriennali va vista con riferimento al termine per la rettifica della dichiarazione in cui il singolo “rateo” del componente reddituale è stato indicato e non in relazione al periodo d’imposta in cui si è avuta per la prima volta la manifestazione fiscale.
Anche questa previsione della legge delega, posto che la problematica non deriva da una norma specifica ma dall’interpretazione giurisprudenziale, potrebbe essere considerata già completa e operativa.
Ulteriore tema su cui c’è attesa è quello delle società di comodo. La riduzione dei coefficienti non è sufficiente. Occorre riportare la disciplina delle “non operative” nel giusto binario, cioè quello delle società che non svolgono un’effettiva attività economica (in sostanza, le società senza impresa). In teoria sarebbe già così, nel senso che sarebbe sufficiente dare prova, anche attraverso i bilanci, che la società non “abusa della persona giuridica” consentendo capziosamente il godimento dei beni sociali da parte dei soci. Anche qui però le ragioni di cassa hanno preso il sopravvento, così, nel tempo, lo strumento presuntivo – anche grazie alla complicità della giurisprudenza – ha preso altre strade.
In sostanza, tutte le problematiche sopra riportate derivano praticamente da “fraintendimenti”: per cui basterebbe davvero poco, approfittando della proroga per le disposizioni attuative della riforma, per cancellarli definitivamente. Se non, quindi, una vera e propria ri-forma, almeno un piccolo contributo di credibilità alla fiscalità italica. Che ne avrebbe davvero bisogno (più che di sbandierate ri-forme, che di questi tempi più di tanto non si possono fare).