L’onere della prova dopo la riforma del 2022: qualcosa si muove?
L’introduzione nella disposizione di legge sui poteri istruttori del giudice tributario (art. 7 Dlgs. n. 546/92) di un comma “eversivo” quale il 5-bis, non ha ancora trovato un assetto stabile dal punto di vista interpretativo, ma si registrano dei segnali interessanti da parte della giurisprudenza di legittimità.
Come noto, il comma 5-bis prevede che, quando è impugnato un atto impositivo, recante una pretesa dell’amministrazione, il soggetto onerato della prova sia proprio l’autorità che ha emanato l’atto; per resistere all’impugnazione del contribuente evitando così l’annullamento dell’atto, la prova fornita dall’amministrazione deve essere circostanziata, puntuale, non contraddittoria.
La norma esprime in realtà un ritorno al passato, ossia a quella impostazione che vedeva il fisco come attore sostanziale quando veniva fatta valere una sua pretesa a maggiori imposte; attore sostanziale che, come tale, doveva supportare la domanda. Ma poiché nel tempo ed in particolare dai primi anni duemila la giurisprudenza aveva preso una direzione completamente diversa, teorizzando la scissione tra elementi positivi dell’imponibile ed elementi negativi e per questi ultimi ponendo a carico del contribuente l’onere della prova, come se si trattasse di fatti impeditivi, autonomamente capaci di paralizzare la pretesa, la introduzione del comma 5-bis è parsa subito come un enunciato non solo innovativo, ma anche e soprattutto finalizzato a precludere al giudice di legittimità di persistere nella propria giurisprudenza.
La reazione della giurisprudenza è stata oscillante: le corti tributarie di merito hanno attribuito in larga parte portata innovativa all’enunciato del comma 5-bis, mentre la Corte di cassazione ha preferito inizialmente seguire un approccio molto più prudente, cercando di conservare la validità dei propri enunciati anche nel vigore della nuova norma, della quale in sostanza si è negata la valenza innovativa con il corollario che la disposizione è stata considerata immediatamente applicabile come norma processuale anche ai giudizi in corso, senza che peraltro cambiasse la conclusione alla quale il giudizio doveva pervenire.
Tuttavia, nelle decisioni più recenti, la Suprema Corte sembra preferire l’attribuzione di una natura sostanziale al comma 5-bis, con la conseguenza che la norma sarebbe applicabile solo ai giudizi in corso (in dottrina, peraltro, si è rilevato che il mutato riparto dell’onere della prova, per non penalizzare gli uffici, avrebbe dovuto in realtà applicarsi solo agli atti impositivi - e relative controversie - venuti in essere dopo l’entrata in vigore della novella legislativa).
Il diverso approccio al tema dell’effettiva applicabilità della norma, anche se non sconfessa espressamente le precedenti decisioni, dovrebbe preludere ad un riesame della stessa portata della novella: se la si ritiene non applicabile ai giudizi in corso, coerentemente se ne dovrebbe affermare una portata, almeno in parte, innovativa.
Nell’attesa che la giurisprudenza ritrovi un rapporto più sereno, meno emotivo, meno pregiudizialmente ostile, con il legislatore anche quando quest’ultimo intende impedire il persistere di alcuni orientamenti giurisprudenziali, merita di essere segnalato che il tenore del comma 5-bis, per quanto possa apparire sbilanciato a danno dell’azione del fisco, ha in realtà un avallo importante in taluni passaggi della giurisprudenza costituzionale ed europea.
La prima, sembra ad esempio dare per scontato che il giudizio tributario sia regolato da una regola di riparto che pone l’onere a carico dell’amministrazione: si tratta solo di un inciso, contenuto nella sentenza 109/2007, ma, anche in considerazione della cura con la quale la Corte costituzionale redige, con viva partecipazione del collegio, la motivazione delle proprie pronunce, pare ragionevole non sottovalutarlo.
Quanto alla giurisprudenza europea (CGUE 11 1 24, C-537/22), è ancora più esplicita e a proposito degli accertamenti in materia di IVA la Corte di Lussemburgo è chiarissima nel porre a carico dell’amministrazione la responsabilità di provare le proprie pretese, conscia che non si può ritenere “lontana” dalla prova un’autorità fiscale che è dotata di poteri istruttori assai penetranti ed estesi.
Concludendo, se, come auspicabile, la Corte di cassazione deve ancora cercare un equilibrio interpretativo che non neghi pregiudizialmente la novità del comma 5-bis, un punto fermo di questa ricerca può essere rappresentato dalla giurisprudenza costituzionale e da quella della Corte di Giustizia della UE, rispetto alle quali il riparto delineato con la riforma è pienamente conforme.