Per le sanzioni accessorie la riforma tributaria viola la delega e mette a rischio il funzionamento del mercato.
La legge delega sulla riforma tributaria ha trovato sofferta attuazione mediante il DLgs n. 87/2024. Un profilo particolarmente critico è quello che riguarda le sanzioni accessorie previste e disciplinate dall’articolo 21 DLgs n. 472/1997 (interdizione dalle cariche di amministratore, sindaco o revisore di società ed enti; interdizione dalla partecipazione a gare d’appalto; interdizione per licenze, concessioni o autorizzazioni amministrative; sospensione dall’esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa ecc.).
L’articolo 21 prevedeva una durata massima delle sanzioni accessorie di sei mesi, rinviando poi alle singole leggi d’imposta per i casi di applicazione ed i limiti temporali in relazione alla gravità dell’infrazione.
Il DLgs n. 87/2024 ha espunto il limite massimo dei sei mesi dall’articolo 21 ed ha rivisto le singole norme sanzionatorie mediante incremento delle misure edittali. Ad esempio, l’articolo 12, comma 1, DLgs n. 471/1997, in materia di imposte dirette ed IVA, è stato modificato e prevede sanzioni accessorie da «tre a sei mesi»; laddove la misura edittale precedentemente indicava da «uno a tre mesi». Come è già stato evidenziato dalla dottrina, in varie sedi, la disposizione suscita rilevantissime perplessità in quanto sulle sanzioni accessorie la legge delega non prevedeva alcunché, mentre il decreto attuativo ne ha notevolmente aggravato l’entità e l’ambito applicativo.
Si tratta dell’ennesimo profilo di incostituzionalità per palese violazione della legge delega silente sul punto. Né potrebbe invocarsi la logica del “riproporzionamento”, giacché il Parlamento ha delegato il Governo “a migliorare la proporzionalità delle sanzioni tributarie, attenuandone il carico e riconducendolo ai livelli esistenti in altri Stati europei” (articolo 20, comma 1, lett. c, LD), senza menzionare in alcun modo l’ipotesi di aumento delle sanzioni, tantomeno per le sanzioni accessorie.
A prescindere da tali gravi profili di legittimità per violazione della delega, la semplice lettura dell’articolo 12, DLgs n. 471/1997 dovrebbe allarmare tutti coloro che sono dotati di buon senso, in quanto la norma risulta ora sproporzionata, draconiana e tale da mettere a repentaglio il funzionamento del mercato.
In primo luogo, spicca l’eccessiva severità e rigidità. La norma prevede che “quando è irrogata una sanzione amministrativa superiore a euro 50.000 si applica, secondo i casi, una delle sanzioni accessorie… per un periodo da tre a sei mesi… elevata fino a dodici mesi, se la sanzione irrogata è superiore a euro 100.000”, e si dilunga poi su ipotesi particolari, soprattutto in tema di recidiva e di violazioni relative a ricevuta, scontrino ed adempimenti dei professionisti.
Orbene se pensiamo ai settori bancario o assicurativo, o dei trasporti, delle telecomunicazioni o dell’informazione, è agevole riscontrare che una società che gestisce una banca, un’assicurazione o un’attività di trasporto, possa subire frequentemente controlli fiscali da cui scaturisce l’irrogazione di sanzioni superiori a 50.000 euro. Ebbene in tali casi deve essere applicata una sanzione accessoria da un minimo di tre mesi ad un massimo di sei mesi.
Per tali soggetti la sanzione accessoria prevista dall’articolo 21 DLgs n 472/1997 è quella della interdizione per licenze, concessioni o autorizzazioni amministrative, o, in mancanza, della sospensione dall’esercizio di attività.
Spontaneo chiedersi che senso ha prevedere sanzioni accessorie così severe e così rigide, imponendone l’applicazione, mediante rigidi automatismi, in caso tutto sommati poco gravi, soprattutto ove si considerino i soggetti diversi dai lavoratori autonomi e dai piccoli imprenditori.
Proviamo ad immaginare cosa potrebbe accadere in caso di sospensione dell’attività di una banca, di un’assicurazione, di una attività di trasporto aereo o ferroviario ecc. Quali squilibri potrebbe creare nel mercato l’applicazione di tali misure.
Di certo lo scenario non è il risultato di un armonioso bilanciamento legislativo tra i vari interessi coinvolti, ma il frutto di un bieco Fiscalismo che ormai avvelena il sistema tributario, sovraesponendo oltre ogni ragionevolezza e misura la tutela del Fisco, senza curarsi della realtà dei fatti.
Che senso ha prevedere sanzioni accessorie assurde, tali da mettere a repentaglio il funzionamento del mercato?
È scontato che tali sanzioni accessorie non potranno mai essere applicare ai grandi contribuenti (come dimostrato l’esperienza), ma solo alle tartassate categorie dei lavoratori autonomi, dei piccoli imprenditori e dei commercianti. Si dirà che la soluzione più agevole potrà essere quella di non applicare in concreto le sanzioni accessorie laddove possa derivarne un vulnus per il mercato. Ma su quale base normativa? Mediante quali poteri discrezionali? In virtù di quali istituti giuridici e di quali previsioni di esonero?
Non vi sono margini normativi per soluzioni di tal fatta; non è consentito disapplicare le sanzioni accessorie in base a parametri di opportunità e quindi disapplicarle dovrebbe dar luogo a responsabilità nell’ambito dell’Agenzia delle Entrate, sul piano disciplinare, amministrativo e contabile.
È quindi irragionevole aver creato un meccanismo ingestibile, foriero di disparità ed eccessi, che per sua natura è destinato a sfuggire alla logica della legittimità e soprattutto a creare situazioni critiche sul piano dell’effettività e del danno erariale.
Anche per il Fisco “il troppo storpia”.