La Risoluzione n. 12 del 14 febbraio 2025 conferma che, nel patto di famiglia di cui agli articoli 768-bis seguenti del Cod. civ., la liquidazione del legittimario non assegnatario non può essere considerata un atto di liberalità fattogli dall’assegnatario, e quindi non può essere soggetta all'imposta sulle donazioni.
La liquidazione, ai fini fiscali, è da qualificarsi come liberalità (indiretta) fatta dal disponente in favore del non assegnatario, tassabile con l’imposta di donazione nella misura in cui il suo valore superi quello della franchigia (pari a euro 1 milione).
Il pensiero dell’Agenzia in ordine alla tassazione delle attribuzioni compensative nel patto di famiglia appare ovvia alla luce della normativa e della funzione stessa del patto di famiglia.
Questa conclusione, infatti, ribadita più volte dalla giurisprudenza di legittimità, non è altro che il riconoscimento della natura obbligatoria della liquidazione, la quale trova la sua fonte nella legge e non nella volontà dell'assegnatario.
Il patto di famiglia, disciplinato dagli articoli 768-bis e seguenti del Cod. civ., è uno strumento negoziale che consente di trasferire anticipatamente l'azienda o le partecipazioni societarie dell'imprenditore a uno o più discendenti, garantendo al contempo i diritti dei legittimari. L'articolo 768-quater, infatti, prevede che gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie «devono liquidare gli altri partecipanti al contratto» in misura corrispondente alla quota di legittima loro spettante.
Il codice, quindi, impone un obbligo a carico dell'assegnatario, il che esclude in radice che la liquidazione possa qualificarsi come una donazione da lui fatta in favore dei non assegnatari.
Si tratta, invece, di un’attribuzione fiscalmente riconducibile all’adempimento di un onere di cui una donazione può essere gravata, con conseguente applicazione dell’articolo 58, comma 1, del Testo unico successioni e donazioni, il quale stabilisce che gli oneri da cui è gravata una donazione, se diretti a favore di terzi individuati (come sono i non assegnatari nel patto di famiglia) devono essere considerati come liberalità in favore di questi ultimi fatte dal donante (nel patto di famiglia, l’imprenditore disponente).
Il percorso giurisprudenziale inizia con un’interpretazione restrittiva, contenuta nell’ordinanza della Corte di cassazione n. 32823 del 2018, con cui si era ritenuto che la liquidazione dovesse essere soggetta all'imposta sulle donazioni sulla base del rapporto di parentela tra assegnatario e non assegnatario. In questa pronuncia la Corte aveva fatto leva sulla provenienza della somma della liquidazione dal patrimonio dell’assegnatario, senza però considerare che quello dell’assegnatario di liquidare i non assegnatari è un obbligo previsto dalla legge ed esclude in radice la riconducibilità della liquidazione alla categoria giuridica della donazione.
L’orientamento è stato superato dalla sentenza della Cassazione n. 29506 del 2020, la quale dopo avere chiarito che l'obbligo di liquidazione ha fonte legale e deve essere considerato un elemento funzionale del patto di famiglia (anche se, va ricordato, i non assegnatari possono rinunciare alla liquidazione medesima), fissa il principio per cui alla liquidazione va applicata l’imposta di donazione sulla base del rapporto di parentela esistente tra disponente e non assegnatario.
Il principio è stato ribadito dalle ordinanze della Cassazione n. 19561 del 2022 e n. 19627 del 2024.
La Risoluzione n. 12/2025, che recepisce questo orientamento, ha effetti pratici rilevanti, poiché supera un'interpretazione distorta della normativa che, di fatto, penalizzava gli assegnatari di aziende e partecipazioni sociali, gravandoli di un'imposta ingiustificata.
È una conferma importante nell’ottica della prevedibilità e certezza del diritto tributario, che dovrebbe essere scopo primario dell’ordinamento. La precedente interpretazione, al contrario, faceva sì che una disposizione volta a garantire l'equilibrio tra i legittimari si trasformasse nell’imposizione di un ulteriore onere fiscale per chi assumeva il rischio d'impresa.
Il carico fiscale di cui erano gravate le attribuzioni compensative (non di rado di importo superiore a quello della franchigia esistente tra fratelli, pari a euro 100.000, con applicazione dell’imposta del 6 per cento sull’eccedenza) era infatti tale da scoraggiare – a volte - la stipula del patto di famiglia, così vanificandone la finalità, che consiste nel favorire i passaggi generazionali.
Le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza, recepite dalla citata Risoluzione, non sono altro che il risultato di una lettura coerente e sistematica della normativa vigente, oltre che una misura di buon senso.
Resta da dire della tassazione dell’eventuale rinuncia alla liquidazione, che taluni uffici ritengono soggetta all’imposta di registro in misura fissa.
Al contrario, la rinuncia deve considerarsi fiscalmente neutra. Se infatti, ai fini fiscali, la liquidazione fatta dall’assegnatario va considerata come liberalità (indiretta) fatta dal disponente ai non assegnatari, ne risulta l’esclusione da qualsiasi imposta della rinuncia medesima, in quanto per effetto della rinuncia il non assegnatario, in sostanza, non accetta la (proposta di) donazione fattagli dal disponente.
La rinuncia (che ai fini fiscali dovrebbe più propriamente qualificarsi come “rifiuto”) impedisce il perfezionamento della donazione, con conseguente assenza del presupposto impositivo.